domenica, ottobre 29, 2006

Anna Politovskaja, giornalista siciliana

di Riccardo Orioles

(Apparso su La Catena di Sanlibero, n. 342)

Anna Politovskaja, giornalista siciliana. Anche stamattina, al giornale, i colleghi hanno dato un'occhiata alla scrivania vuota e si sono messi al computer a lavorare. Il potere e' mafioso, lo si sa: pero' loro lo scrivono, fanno i nomi e i cognomi, e sono soli. Di chi e' la scrivania vuota? Chi e' il collega, assassinato dagli imprenditori mafiosi, che fino all'altro giorno scriveva? In che lingua scriveva? In russo, in italiano, in castigliano? Russia, Sicilia, Colombia? E che importanza ha. Siamo in un paese dove l'informazione non e' libera, dove i politici al massimo livello fanno accordi coi mafiosi (si chiamino Cuffaro o Putin, gioviali notabili o cupi apparatniki), dove l'imprenditoria e' collusa, dove il popolo fiaccato da rassegnazione e miseria non osa alzare la testa eppure (essi sanno benissimo) un giorno, grazie a loro che resistono, la rialzera'. E in quale chiesa si sono svolti stavolta - sempre piu' soli e inutili - i funerali? Pochi compagni attorno, dichiarazioni sprezzanti ("La mafia qua non esiste", "Nessuno stava a leggere il suo giornale") delle Autorita'. E quell'applauso commosso, di quelle poche centinaia di impauriti ma consapevoli cittadini. E loro che si allontanano, a spalle chine, per ritornare alla redazione, a scrivere tutto cio' che e' successo, anche in questa giornata. Manderanno ai giornali esteri ("I servizi hanno sequestrato il suo computer", "stava facendo un'inchiesta sui massacri") note redazionali. Aggiorneranno il palinsesto di questo numero, sperando che gli edicolanti - almeno per un altro po', almeno qualcuno - acconsentano a esporre ancora il giornale. Non parleranno, fra di loro, di lei, salvo che per ragioni di lavoro. Ma a lei penseranno ogni attimo, firmando le nuove inchieste, guardando la rotativa che le stampano, seguendo con lo sguardo le macchine che si allontanano portando dovunque possibile le copie del giornale.



* * *

Nessuno scrive piu' di te, Anna, ed e' passato appena un paio di settimane. Ci sono altre cose da scrivere, guerre, re, star system, presidenti, cantanti: altri eventi del vasto mondo ingombrano la grande stampa internazionale. Hanno scritto che eri una giornalista, una brava giornalista, e che sei morta: cosa potevi chiedergli di piu', a questi illustri e - per quasi due giorni - partecipi colleghi? E' nelle povere stanze e fra i computer rabberciati, con gli altri redattori dei tuoi stenti giornali, che ancora vive il Giornalismo. Lui non ti ha dimenticata, ne' tutti gli altri come te.



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Giornalismo. Convegno della stampa libera siciliana, il 4 e 5
novembre a Catania. Come spezzare il monopolio, come dare tecnologie
alla liberta'. Come organizzarsi - insieme. Come trasformare.

Info: riccardoorioles[AT]sanlibero[DOT]it, lucio[AT]sanlibero[DOT]it

sabato, ottobre 28, 2006

Ich arbeite, tu lavori, he works...

http://www.francobrain.com/arbeite.htm


Io lavoro, tu arbeitest, egli fatica... Il verbo più assurdo del mondo declinato in decine e decine di lingue diverse.
Una pagina inutile quanto affascinante. E divertente sebbene il soggetto sia di una tragicità immane.

http://www.francobrain.com/arbeite.htm

Useless page: the verb 'to work', 'working', in many languages. By Peter Patti, from the novel Weltgeist Superstar by P.M. (Rodulf von Gardau). Reali(s)zation: franc'O'brain & Transputer Qasar.

Libri. Books. Buecher. Lavorare, arbeiten, malochen.
Languages: English, Italian, Hungarian, German, Spanish, Swedish, Urdu... By Peter Patti.
Abbasso il lavoro! Nieder mit der Arbeit! Viva il lavoro! Hurra I got a job!

http://www.francobrain.com/arbeite.htm


Da un'idea originale di P.M. (Rodulf von Gardau) , interessantissimo scrittore svizzero-tedesco.





References:
useless page, books, peter patti, to work, to die, lavorare, arbeiten, malochen, fatigue, jag arbejder, languages, English, Italian, Hungarian, German, Spanish, Swedish, french, russian, franc'O'brain, trabalho, working, lavoro, Rodulf von Gardau, p m, weltgeist, superstar, tripura transfer, rabotaju, libri, jag arbetar, schriftsteller, deutsch, schweiz, minä teen työtä, musica, music, musik, genesis, autoren, authors, autori, patti, frank brain, frankobrain, francobrain, ik werk, jaz delam, eg vanna.

domenica, ottobre 22, 2006

'Fascisti su Marte'

Fascisti su Marte; Corrado Guzzanti
"Alle ore 15 del 10 maggio 1939, Marte è fascista!"

Girato in parte nella cava della Magliana, nei pressi di Roma, racconta l’epopea del gerarca fascista Barbagli (Corrado Guzzanti) e dei sui fidi camerati, inviati da un paese (il nostro) il cui Presidente ama esclamare: "Me ne frego!"
Il film, basato sui "cinegiornali" all'interno della trasmissione televisiva Il caso Scafroglia, illustra le vicissitudini "spaziali" di un manipolo di Arditi, dall’arrivo sull’ostile Pianeta Rosso fino all’imprevisto epilogo, passando per grandi scoperte, temerarie avventure, improbabili amori, incontri alieni e persino visioni mistiche.
La parodia non investe soltanto i neofascisti italiani (dileggianti con lazzi e marziali risa...) ma anche il cinema, con un monolite nero che viene direttamente da 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick: scena oltre che assolutamente spassosa anche geniale per la scelta della citazione.



Vite segnate dalla gloria, braccio e mano del Duce, uomini di fato intrisi, che soli videro l'onore di sentir scoccare l'ora del destino... con un moschetto e un "me ne frego" dentro al cuor!

sabato, ottobre 21, 2006

Harold Pinter: 'God bless America'



Harold Pinter
God bless America. Scritti e interviste contro la guerra
Collana Ahlambra. Editrice datanews

<<C'è una vecchia storia su Oliver Cromwell. Dopo aver conquistato la città inglese di Drogheda, fece portare i suoi concittadini sulla piazza principale. Cromwell ordinò ai suoi tenenti: "Soldati! Uccidete tutte le donne e stuprate tutti gli uomini!" Uno dei suoi aiutanti disse: "Mi scusi, tenente, ma non dovrebbe essere il contrario?" Una voce dalla folla gridò: "Mr. Cromwell sa cosa sta facendo!"

Quella è la voce di Toni Blair: "Mr. Bush sa cosa sta facendo!"

Il fatto è che Mr. Bush e la sua gang sanno davvero cosa stanno facendo, e anche Blair, a meno che non sia l'idiota deluso quale spesso appare, sa cosa stanno facendo. Bush & Company sono molto determinati, semplicemente, a prendere il comando del mondo e delle risorse mondiali. E non importa loro un fico secco di quante persone devono uccidere per raggiungere i loro obiettivi. E Blair ubbidisce.

Non ha il supporto del Partito Laburista, non ha il supporto del paese né tanto meno della tanto declamata "comunità internazionale". In che modo, dunque, può giustificare l'entrata in guerra di un paese che non la vuole? Non può. Può soltanto fare ricorso alla retorica, ai cliché e alla propaganda. Chi l'avrebbe mai detto, quando votammo Blair, che saremmo poi arrivati al punto di disprezzarlo. L'idea secondo la quale lui avrebbe influenza su Bush è ridicola. La sua accettazione passiva della prepotenza degli Stati Uniti è patetica.

La prepotenza è, naturalmente, una tradizione americana consacrata dal tempo. Nel 1965, rivolgendosi all'ambasciatore greco negli Stati Uniti, Lyndon Johnson disse: "Fanculo il vostro Parlamento e la vostra Costituzione. Gli Stati Uniti sono l'elefante, Cipro è la pulce, La Grecia è la pulce. Se queste due bestioline continueranno a fare il solletico all'elefante, le prenderanno dalla sua proboscide, e le prenderanno di santa ragione."

Non parlava per metafore. Poco tempo dopo, i colonnelli, supportati dagli USA, si insediarono in Grecia e il popolo greco visse sette anni all'inferno.

Riguardo l'elefante americano, è cresciuto fino a divenire un mostro di proporzioni grottesche e oscene.

La terribile atrocità a Bali non altera, affatto, la raltà dei fatti.

Il "rapporto speciale" che lega gli Stati Uniti e il Regno Unito ha sommato i migliaia di morti negli ultimi dodici anni ai migliaia di morti in Iraq, Afghanistan e Serbia. Tutto questo per perseguire gli scopi della "crociata morale" di Stati Uniti e Regno Unito volta a portare "pace e stabilità" nel mondo.

(...) Bush ha affermato: "Non permetteremo che le armi più pericolose del mondo rimangano in possesso dei leader più pericolosi del mondo." Giusto. Guarda un po' nello specchio, amico. Quello sei tu.>>

In questo compendio dal titolo God bless America. Scritti e interviste contro la guerra, il commediografo, regista, attore e poeta inglese di origine ebrea Harold Pinter (Premio Nobel 2005) lancia i suoi strali contro gli Stati Uniti d'America, denunciando il dramma dei massacri e delle ferite provocati dall'impero, dalla rivolta sandinista ai prigionieri di Guantamano, dal boicottaggio nei confronti di Cuba alla guerra in Iraq, e rilancia il tema della speranza.




Infos e ordini: datanews
http://www.datenews.it/

domenica, ottobre 15, 2006

Chuck Palahniuk: 'La scimmia pensa, la scimmia fa'

Chuck Palahniuk torna con un libro di brevi storie che mostrano bene come la realtà nuda e cruda non abbia niente da invidiare alla fantasia più sfrenata.


In La scimmia pensa, la scimmia fa (Stranger Than Fiction), si legge di un'orgia gigantesca in un locale in mezzo al nulla del West di oggi, di un torneo di combattimenti tra enormi mietitrebbiatrici, di una spedizione su un sottomarino nucleare, di un vis-á-vis improbabile con Marilyn Manson, degli allenamenti feroci (e le orecchie a cavolfiore) dei lottatori e molto altro ancora. Ma la parte più sconvolgente è quella che racconta le vite passate e presenti dell'autore: i suoi anni spesi tra lavori pesantissimi di giorno, volontariato in ospedali di notte, le circostanze terribili dell'assassinio di suo padre e del processo al killer.


***

Charles Michael "Chuck" Palahniuk è uno statunitense nato il 21 febbraio 1961 da padre di origine ucraina e madre di origine francese. Prese la laurea all'università dell'Oregon, e nel 1996 divenne di colpo un autore di culto con Fight Club, suo debutto ufficiale come scrittore. Dal romanzo fu tratto un film di altrettanto successo, diretto da David Fincher e interpretato da Brad Pitt ed Edward Norton.
Di lui si parla ovunque, riviste patinate e trasmissioni lo cercano, ma spesso invano. La società, questa società, non piace a Palahniuk. Anche in Soffocare, il suo quarto romanzo, lui la critica senza pietà. "Dopo aver visto un film porno, in cui un tipo si fa infilare da una scimmia delle caldarroste nel retto, non si temerà più nulla dalla vita".
Dal 2002 al 2005 la sua produttività aumenta, proporzionalmente alle sue geniali sceneggiature. Ninna Nanna è un noir-thriller fenomenale, in cui un giornalista vedovo si trasforma nel detective più semplice, complessato e, soprattutto, normale, che la storia della letteratura ricordi. In Cavie scopriamo tutto il genio di Palahniuk, che si inventa un moderno Decamerone, dark e grottesco, parabola serrata e devastante sulla spasmodica caccia alla fama e alla celebrità, che in questo tempo di reality onnipresente torna attualissimo.


La scrittura di Palahniuk è scientifica e cruda: eliminazione del superfluo; battute drastiche, fredde; ripetizioni volute. Rasenta il grottesco enfatizzando le parole per far esplodere le frasi. I contenuti sono assolutamente nichilisti. Punto cruciale delle sue narrazioni è la necessità di liberarsi dalle oppressioni della società, dalle competizioni, dai mass media che "ci fanno comprare cazzate che non ci servono".
Il suo stile - non solo letterario ma anche di vita - è simile a quello di Breat Easton Ellis, Irvine Welsh e Douglas Coupland. Sempre provocatorio e contraddittorio, dice di non possedere un apparecchio televisivo e non nasconde la propria omosessualità.
"Forse c'era una vena di pazzia nella famiglia e aspettarono che avessi vent'anni per lasciarmelo sospettare". A quell'età suo padre gli raccontò che il nonno aveva ucciso la nonna a colpi di pistola e poi si era sparato, mentre lui, il padre, andava a nascondersi sotto il letto. Anni dopo, suo padre conobbe una donna attraverso annunci per incontri e uscì con lei. Al ritorno a casa, l'ex-marito di lei li uccise entrambi e poi bruciò i corpi nel garage.


Dice uno dei suoi protagonisti: "La realtà è che uno vive finché non muore. E la verità è che nessuno vuole la realtà."



....BIBLIOGRAFIA

Romanzi

* Fight Club (1996)
* Survivor (1999)
* Invisible Monsters (1999; ma in realtà scritto prima di Fight Club)
* Soffocare (Choke) (2001)
* Ninna Nanna (Lullaby) (2002)
* Diary (2003)
* Cavie (Haunted) (2005)

Saggistica, scritti vari

* Portland Souvenir (Fugitives and Refugees: A Walk in Portland, Oregon) (2003)
* Stranger Than Fiction: True Stories (2003)

venerdì, ottobre 13, 2006

Nobel per la Letteratura 2006


Premio Nobel meritatissimo per il 54enne turco Orhan Pamuk (Il castello bianco, Istanbul, Il mio nome è rosso, Neve, La nuova vita, Il libro nero, La casa del silenzio). Con la sua prosa Pamuk ha gettato un ponte tra il romanzo moderno e le tradizioni mistiche dell'Oriente. Sempre in prima linea nell'impegno per i diritti dell'uomo, è stato più volte denunciato in Turchia - tra l'altro perché si oppone a un'entrata del paese nell'UE, ma soprattutto per aver infranto l'Articolo 301 del Codice Penale parlando del massacro, da parte dei turchi, di un milione di armeni e di trentamila kurdi in Anatolia durante la Prima guerra mondiale.

L'anno scorso il Nobel fu assegnato al drammaturgo inglese Harold Pinter.

sabato, ottobre 07, 2006

Italia-Ucraina 2-0

Questa notizia non viene commentata per solidarietà con i giornalisti della stampa e della radio-tivù, che sono in sciopero.

Scandalo letterario turco in Germania

Fu plagio o si tratta di una geniale operazione pubblicitaria della casa editrice, la quale può così vendere due libri invece di uno? Noi pensiamo piuttosto alla prima opzione, anche se la seconda non è da escludere.

Nella primavera del 2006 esce Leyla, romanzo di Feridun Zaimoglu incentrato sulle vicende di una donna nata e cresciuta in Turchia e poi emigrata in Germania. I critici si uniscono in un coro di osanna, senza accorgersi delle strane somiglianze con Das Leben ist eine Karawanserei, una delle opere più belle e importanti di Emine Sevgi Özdamar, uscita per i tipi dello stesso editore - Kiepenheuer & Witsch - nel 1992.



Il 41enne turco Zaimoglu si era già dimostrato bravo a raccogliere con il suo registratore portatile le testimonianze di suoi connazionali e a trasporle su carta: lo ha fatto per Kanak Sprak e per Abschaum (titolo in italiano: Schiuma): libri l'uno sulla condizione dei giovani turchi in Germania (e anche sul loro modo di parlare: il "kanakster" è il gergo dei "canachi", degli immigrati in "Kanakistan"), l'altro su un carcerato che gli ha affidato la propria storia e quella dei suoi compagni di strada e di coltello, come lui anatolici.

Un esordio di grande successo; autentica "letteratura sociale". Zaimoglu ne ha scritti altri, di libri, tutti incentrati su argomenti consimili (la vita degli emigrati), e tutti quanti giustamente lodati. Dunque: un bravo autore.

Dice di aver compiuto un'operazione uguale, ovvero una sorta di intervista, anche per Leyla: avrebbe poggiato il registratore sul tavolo tra sé e la propria madre e questa gli avrebbe raccontato le sue peripezie da bambina e poi da ragazza nella città natia, finché non prese la decisione di lasciare la Turchia per cercare fortuna nella mitica "Alamania". Dopodiché, Zaimoglu ha trasformato il racconto materno in prosa letteraria; una prosa ben diversa da quella - radicale - dei suoi primi lavori: meno rivoluzionaria, più del tipo "storia-della-povera-piccola-indifesa-indigena" che tanto va di moda in questo periodo. Leyla, uscito nel marzo 2006, ha fatto gridare al capolavoro, riempiendo i feulleittons delle maggiori testate tedesche.

Senonché, un giorno una critica letteraria che desidera rimanere incognita pubblica a sorpresa un pamphlet in cui elenca i "curiosi parallelismi" del romanzo di Zaimoglu con Das Leben ist eine Karawanserei, hat zwei Türen, aus einer kam ich rein, aus der anderen ging ich raus. ("La vita è un caravanserraglio, ha due porte, da una entrai e dall'altra uscii"), pubblicato quattordici anni prima da Emine Sevgi Özdamar, scrittrice di lingua tedesca e anche lei, come Zaimoglu, di origine turca.



La Özdamar, nata a Malatya nel 1946, è attrice, regista e commediografa. Si trasferì in Germania nel 1965, diciannovenne, spinta dall'amore per Bertolt Brecht; ma dovette fare l'operaia in fabbrica prima di poter partecipare a diverse produzioni della Volksbühne di Berlino Est. Alternò il lavoro teatrale con la frequentazione a Istambul di una scuola di recitazione (ma aveva calcato le scene già a 12 anni, in un teatro di Bursa). Si impiantò definitivamente in Germania per recitare alla Schauspielhaus di Bochum e passò poi al cinema, interpretando diversi ruoli in pellicole di Doris Dörrie, Fatih Akin e altri registi.

Cominciò a scrivere romanzi, poesie e racconti nel 1982. Il suo realismo intriso di magia, basato sull'abile tessitura di un materiale linguistico assai ricco, le ha fatto guadagnare numerosi premi e riconoscimenti, tra cui l'Ingeborg-Bachmann-Preis. Considerata tra le massime rappresentanti della cosiddetta "Migrantenliteratur", ha spianato la strada a tanti giovani autori, tra i quali è da annoverare Zaimoglu.



Feridun Zaimoglu è nato a Bolu, in Turchia, nel 1964, ma vive in Germania dal 1965. E' il classico turco-tedesco delle ultime generazioni, con due patrie e nel contempo senza radici. La sua dichiarata ammirazione per Emine Sevgi Özdamar va ben al di là dei comuni rapporti tra un'autrice e un suo fan, tant'è vero che Kanak Sprak, Abschaum e altri suoi libri dal carattere altamente ribelle, di protesta, possono dirsi ispirati non solo ai temi ma anche a certe innovazioni linguistiche della più anziana scrittrice.

L'hype intorno a questo autore è enorme. Leyla in pochi mesi ha venduto oltre 20.000 copie: più del libro della Özdamar in quattordici anni... La critica ufficiale non sembra affatto turbata dalla metamorfosi attraversata da Zaimoglu; dopo il successo delle prime prove letterarie, bissato da quello di alcune adattazioni filmiche, i suoi toni sono andati via via smorzandosi, e ora non scrive più di "noi Kanak" e "loro tedeschi", ma di "noi tedeschi" e "loro stranieri", capovolgendo insomma i termini del discorso. Mentre all'inizio criticava soprattutto la patria d'adozione, è passato a fare il ritratto spietato di quella "feccia turca" di cui i tedeschi hanno paura, il volto cattivo dell'immigrazione.



Lo abbiamo già detto: Emine Sevgi Özdamar era il suo idolo. Ma, da quando è scoppiato il pasticciaccio che lo vuole plagiatore, lui va giurando di non aver mai letto un solo romanzo della collega (!). Inizialmente, a proposito di Leyla, raccontava di aver contattato oltre cinquanta donne per mettere insieme il materiale per il libro, ma in seguito dichiarò di aver "intervistato" solo la propria madre. Promette ai giornalisti di far sentire i nastri con i racconti della genitrice (ovviamente con l'aiuto di un interprete), ma ci impiega settimane a tirarli fuori; infine ne mostrerà solo sei, decisamente pochini per un libro che consta di ben 500 pagine.

"Telefonate pure a mia madre!" dice impettito a chi va a trovarlo chiedendogli ragguagli sull'accusa di plagio, "domandate a lei se non è vero!" La donna intanto è tornata a vivere con il marito in Turchia. Al telefono piange, si dispera. Afferma: "Questa è la mia storia! Me l'hanno rubata!"
Rubata? E' curioso: la Özdamar ha pubblicato il suo romanzo oltre un decennio fa...

Zaimoglu si mostra apertamente sorpreso nel leggere delle somiglianze tra i due libri, illustrate in decine e decine di articoli. "E' davvero un caso di criminalistica letteraria" cerca di scherzare. "Non capisco..."

Entrambi raccontano di una ragazza che nasce e cresce a Malatya (Turchia Orientale) negli Anni Cinquanta. Ambedue le protagoniste attraversano le medesime esperienze (violenza familiare, le prime mestruazioni che diventano una ragione per vergognarsi...) e sceglieranno per ultimo di emigrare. Ambientazione topografica e temporale, nonché struttura, potrebbero pure essere una coincidenza. Ma, purtroppo per Zaimoglu, i parallelismi non risiedono solo nella storia. Ciò che maggiormente stupisce sono quelli linguistici (l'anonima esperta di Germanistica ne ha scovati 160), e spesso addirittura l'uso delle stesse identiche parole. In Leyla, espressioni e metafore sono state appena appena mutate. La protagonista di Zaimoglu ama l'attrice "Kessrin Hepörn" (Katherine Hepburn), mentre la giovane del romanzo di Emine Sevgi Özdamar stravede per "Humprey Pockart". Per la Özdamar, l'Eufrate è un "fiume matto", un "serpente d'argento"; nel libro di Zaimoglu le acque dell'Eufrate "sono matte", il fiume "riluce d'argento" e scorre in "serpentine". Entrambe le ragazze hanno un fratello morto, che loro paragonano a un ragno (una metafora tipicamente turca; ma in Turchia vi sono centinaia di metafore che indicano i defunti, dunque perché proprio questa in tutt'e due i libri?). A scuola il bel fratello di Leyla, ovvero Djengis, viene sedotto dall'insegnante di Istambul (una figura di cittadina fedele allo Stato: questo mi pare un particolare non irrilevante nel carosello di metafore e simboli assortiti che riempie il romanzo di Zamouglu), e un episodio praticamente uguale - però narrato in prima persona - si riscontra in "La vita è un caravanserraglio". Dopo l'atto sessuale, le due ragazze si infilano in bocca una gomma da masticare... e così via.


Bien entendu: al di là dei parallelismi con l'opera della Özdamar, Leyla impressiona per la gran quantità di originali allegorie e ammiccamenti alle condizioni e ai fatti della società anatolica. Inoltre è più che evidente che Zamouglu deve aver riflettuto a lungo sull'idioma della lingua del Paese in cui è cresciuto e dove ancora vive. Io ho rischiato di naufragare - piacevolmente, però! -, durante la ri-rilettura, nell'uso che Zamouglu fa della lingua tedesca. E non ogni cosa in Leyla è - o può essere - plagio; ergo: un lavoro notevole.


Già all'inizio del libro, il lettore è costretto a una piccola pausa per potersi orientare:



"Besser ist es, erst Pfirsich und dann Melone zu essen, denn Melone ist süßer. Sagt meine Mutter. Wo ist dein Kettchen? Dort, wo mein Tand ist, sage ich. Und was hast du für einen Tand angesammelt? Kindertand. Runde kleine Steine."



"Tand"? "Kindertand"? ("gingilleria da bambini": così lo traduco io). Come può una bambina di 5 anni parlare così? - si chiede chi legge. Ma nella "terra degli avi" sembra essere proprio questo il linguaggio vigente; una poesia che si direbbe radicata nelle pietre e nella carne, e che fiorisce insieme alla stessa miseria... La descrizione del profumo delle arance stivate in casa dal padre putativo, quelle arance che vanno a male e che eppure "non possono essere toccate", rimane a lungo nella memoria... così come tutte le osservazioni "quotidiane" dei gesti e delle cose comprese entro l'orizzonte sensitivo della protagonista.

Insomma, proprio un bel romanzo!... Senonché, Leyla agisce e addirittura pensa in maniera "stranamente" simile al carattere del libro di Emine Sevgi Özdamar.
Il quesito che ci si pone è: si può essere tanto stupidi? Possibile che un autore di successo come Feridun Zaimoglu abbia bisogno di copiare? E' vero: di questi tempi in Germania va forte il filone della "piccola indigena infelice", ma perché Zaimoglu non si è limitato a scrivere ciò che sa e che può, invece di cercare di reinventarsi alla svelta come profondo conoscitore del mondo femminile?



Tuttavia, la cosa più sconcertante della vicenda è un'altra: la maniera in cui i critici affermati hanno cercato di negare le evidenze, declassandole a "vaghi indizi", invece di ammettere di aver preso un grosso abbaglio. In tal senso, si può dire che Feridun Zaimoglu sia nato con la camicia. Anche perché la Özdamar, dopo la comprensibile indignazione iniziale nei confronti del connazionale, ha deciso di chiudersi in un decente silenzio, spiegando di non aver "mai mosso accuse di plagio" (Frankfurter Rundschau del 10 giugno 2006).

Meno male per lei! Eh, sì, perché Zaimoglu aveva già minacciato di intraprendere provvedimenti legali contro la collega e contro chi altri facesse "certe allusioni". Ad un certo punto è stato persino lui ad alludere a un possibile plagio di lei: "Ho scoperto che una mia zia, sorella di mia madre, è stata nello stesso dormitorio femminile in cui per un certo periodo dimorò anche Emine Sevgi Özdamar. Si sa: a sera le donne si raccontavano episodi della propria vita, e forse la signora Özdamar si prese degli appunti dai quali è poi nato quel suo romanzo..."

Quindi, en passant, ha annunciato allegramente che il secondo volume della saga sulla "sua" eroina uscirà probabilmente già entro quest'anno.