domenica, dicembre 31, 2006

Fiore di cactus



(1969)

Oscar meritato

Film piacevolissimo, pieno di "complicazioni" tipiche del filone delle screwball comedies o delle opere teatrali di Neil Simon (autore tra l'altro di La strana coppia, con Jack Lemmon e lo stesso Walter Mathau).
Ingrid Bergman nella parte dell'assistente fredda ed effettiva del dentista (Mathau) è brava a nascondere la propria femminilità ai fini della riuscita della pellicola, mentre la giovanissima Goldie Hawn impersona alla perfezione la teen-ager apparentemente svampita ma in realtà non priva di solidi principi umani. Il tutto ambientato in un'America (quella metropolitana) al culmine della rivoluzione culturale.

Da possedere assolutamente, insieme ad altri film dell'epoca (Lasciami baciare la farfalla, Provaci ancora, Sam, Il party, What's New, Pussycat...).

martedì, dicembre 26, 2006

Casino Royale (1967)


Sir James Bond, ex agente segreto, si è ritirato a vita privata. Per mantenere alta la propria immagine, i servizi ribattezzano un gran numero di loro agenti "James Bond" o "007"... Senonché, il vecchio Bond deve essere riattivato per fare luce sulla strana moria di uomini al soldo sia dell'una parte (capitalista) sia dell'altra (comunista).


Per molti questa parodia, che può vantare un cast stellare, è puro trash; per altri un capolavoro di slapstick. In effetti, non bisogna attendersi risate a crepapelle. Semmai si sorride, ammirando molti dei beniamini di sempre: Sellers, Niven, Allen, Andress, Huston, Welles, Belmondo, O'Toole (questi ultimi due in minuscole parti, quasi appena camei)... Una storia autentica il film non ce l'ha: è solo vagamente ispirato al primo romanzo di Ian Fleming. Il produttore Charles K. Feldman, non potendo accaparrarsi i diritti sul celebre personaggio (che erano nelle mani di Albert R. Broccoli), pensò di prendersi una rivincita acquistando se non altro quelli sul primo libro e volgendo ogni cosa in scherzo, sia pure con un impiego di capitali a quell'epoca da record. Il film fu girato interamente in Inghilterra. A parte il gran numero di registi, altrettanto grande è quello degli "scrivani", tra i quali è da includere Woody Allen, il cui stile si nota - eccome! - in parecchie scene e in un paio di riferimenti (soprattutto nel finale caotico) a What's New Pussycat. Altri particolari della pellicola richiamano alla mente idee tratte da commedie di quel tempo o che verranno sviluppate in opere a venire. 


Peter Sellers e Ursula Andress

David Niven nei panni del vecchio James Bond è impeccabile. L'altro "James Bond" più importante della storia è Peter Sellers, in realtà un esperto di baccarà che viene coinvolto da Ursula Andress/"Vesper Lynd" nel complotto contro "Le Chiffre" (Orson Welles).

Dopo aver girato The Pink Panther e Dr. Strangelove, Sellers era tra gli attori più richiesti in assoluto, e ciò deve aver gonfiato a dismisura il suo ego. Per Casino Royale pretese un milione di dollari, una Bentley bianca e il controllo assoluto sul copione. Anche dopo che gli venne assegnato il ruolo più importante, Sellers continuò a comportarsi come un bambino capriccioso. La produzione decise di assecondarlo e i costi raggiunsero i 6 milioni di sterline fino al momento in cui la megalomane star decise di abbandonare i luoghi delle riprese per non farvi più ritorno. (In totale il film sarebbe costato ben 8 milioni di sterline.) La scena in cui Sellers muore è in realtà il risultato di abili trucchi in fase di post-produzione. Il comportamento autodistruttivo dell'attore inglese gli diede una fama talmente negativa che per anni fu sulla lista nera di tutte le case cinematografiche.

Tra parentesi, la scena al casinò che mostra Sellers e il suo contraente Orson Welles/"Le Chiffre" è solo frutto di montaggio. Sellers accusò l'intera squadra di venerare Welles e di trascurare lui. Tra le due stelle scoppiarono scintille già fuori dal set, e per questo per la scena in questione bisognò girare diverse sequenze che vennero poi cucite insieme. 

 


Woody Allen e Daliah Levi


Bisogna accettare Casino Royale per quel che è. Non si tratta di un capolavoro, ma non è nemmeno quell'obbrobrio che in tempi più recenti ci è stato propinato con Austin Powers (la spia imbranata interpretata da Mike Myers). Siamo negli Anni Sessanta, quasi Settanta, e i vari registi (John Houston, Ken Hughes, Robert Parrish...) hanno colto lo spirito del tempo con sequenze e scenografie "psichedeliche", oltre che con un vero e proprio esercito di splendide donne seminude (delle quali Ursula Andress, Daliah Levi e Barbara Bouchet sono solo il tridente avanzato). Pura cultura pop, insomma, sottolineata dal bel soundtrack di Burt Bacharach / Herb Alpert. Inoltre, si possono gustare Woody Allen ("Dottor Noè") nelle vesti di piccolo ebreo nevrotico, Peter Sellers in quelle di playboy e Orson Welles in qualità di grande illusionista: tre autorappresentazioni dettate più da convinzione reale che dalla natura satirica del film.

lunedì, dicembre 25, 2006

Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato



(Gran Bretagna, 1971)
Regia: Mel Stuart
Principali interpreti: Gene Wilder; Peter Ostrum; Jack Albertson; Roy Kinnear


Tratto dal libro La fabbrica di cioccolato di Dahl Roald, è un capolavoro fiabesco destinato non solo ai bambini ma anche agli adulti.

Willy Wonka è il proprietario di una fabbrica dolciaria nota per la squisitezza dei suoi prodotti. Poiché gli ingegnosi brevetti per la produzione dei dolci sono oggetto dell'interessata curiosità dei concorrenti, da anni Willy Wonka non permette a nessun estraneo di varcare la soglia della fabbrica. Un giorno viene annunciato il lancio di un concorso internazionale: le cinque persone che troveranno all'interno di una tavoletta di cioccolato "Wonka" un talloncino d'oro saranno ammesse alla visita della fabbrica.
Charlie Bucket, un ragazzo povero che vive insieme ai nonni costretti a letto ed alla madre, viene improvvisamente baciato dalla fortuna e si ritrova con altri quattro bambini davanti ai cancelli della Willy Wonka Factory, accompagnati ciascuno da un parente. L'eccentrico Wonka li accoglie e fa loro da guida, rivelandosi, più che il direttore di una fabbrica, come il gestore di un immenso parco dei divertimenti (con una montagna di leccornie, vari bizzarri macchinari e persino il tunnel dell'orrore). Naturalmente indimenticabili sono gli Oompa-Loompa, i suoi lavoratori-nanetti.
Ci sono molti colpi di scena che fanno temere per il destino del piccolo Charlie, ma alla fine prevalgono giustizia e bontà e il Nostro ottiene addirittura la fabbrica dopo un atto di gentilezza nei confronti di Wonka.



Il regista Stuart ha usato diversi trucchi e accortezze nel girare il film: per esempio i giovani interpreti non hanno mai incontrato Gene Wilder prima che lo stesso apparisse sulla porta nei panni di Willy Wonka. Il cast, al completo, non ha visto né la stanza del cioccolato né gli Oompa-Loompas se non dopo l'inizio delle riprese... Tutto questo per rendere le reazioni all'incontro più realistiche.



Il più recente film di Tim Burton (2005), con Johnny Depp, non è affatto male: ha anzi dalla sua la possibilità di sfruttare al meglio la tecnica e i trucchi col computer. E' però proprio l'interpretazione di Willy Wonka da parte di Depp a non reggere il confronto con quella - assolutamente perfetta - resa da Gene Wilder ventiquattro anni prima. Il sorriso tranquillo di Wilder non mette ansia come il ghigno isterico di Depp. Wonka/Wilder sa sempre quel che accade e si mantiene imperturbabile, lo spettatore capisce che può fidarsi di lui, mentre con l'imprevedibile e nevrotico Wonka/Depp si rimane sempre sul chi vive. Il messaggio, o la "morale", è tutta contenuta nelle parole dell'ultima canzone:


IF YOU WANT TO VIEW PARADISE
SIMPLY LOOK AROUND AND VIEW IT
ANYTHING YOU WANT TO, DO IT
WANT TO MAKE THE WORLD
THERE'S NOTHING TO IT

THERE IS NO LIFE I KNOW
TO COMPARE WITH PURE IMAGINATION
LIVING THERE
YOU'LL BE FREE
IF YOU TRULY WISH TO BE





Script originale di Willy Wonka and the Chocolate Factory

domenica, dicembre 17, 2006

Sul caso Welby

"La vita non appartiene all'essere umano": a questa assurda conclusione si è arrivati a proposito del caso Welby.
Tu sei lì sul ponte, hai già scavalcato il parapetto, con un sospiro soddisfatto allarghi le braccia e ti lanci nel vuoto a volo d'uccello (l'ultima e unica grande impresa della tua tormentosa vita), già fiducioso di avercela fatta... quando ti senti agganciare la scarpa... No! La scarpa si sfila, forse ce la puoi ancora fare... ma ti afferrano il calzino. Si sfila anch'esso... poi hanno il tuo calcagno in mano, la gamba, tutto te stesso. Ti tirano su, magari orgogliosi di sé per averti "salvato". Ti chiedono "perché?" e quando tu urli loro in faccia: "Lasciatemi morireee!" ti infilano la camicia di forza e ti richiudono in una cella imbottita, con tanto di sorveglianza speciale perché tu "non faccia sciocchezze".
Il paradosso è che la vita appartiene all'essere umano. A ognuno di noi. Non possono impedirci di farne quel che vogliamo! Se non appartiene a noi, a chi allora? Alla società? A questo convivio di strani, spietati animali che sono gli stessi che ci spinsero a volerla fare finita?


Vogliono continuare a tenere attaccato il ventilatore polmonare che mantiene in "vita" Piergiorgio Welby.
E' una vera e propria tortura senza soluzione di continuità nei confronti di una persona che soffre e non fa che ripeterlo a tamburo battente. Una "condanna a vita" senza diritto di difesa e con la complicità dei soliti medici-aguzzini e giudici dell'Inquisizione.
Ci hanno sviliti ormai in tutti i campi, depredandoci persino della scelta se continuare questa indicibile agonia o spegnerci per sempre.

sabato, dicembre 09, 2006

Dell'entusiasmo che manca

Un fantasma si aggira per l'Europa: il fantasma dell'apatia organizzata.
Molti dei nostri conoscenti, soprattutto i giovani, errano con sguardi estasiati, assenti. Hanno evidentemente i loro paradisi privati. Ci salutano con grande cordialità, felici; o, meglio, salutano i nostri simulacri, il nostro scheletro: di noi infatti non vedono altro, e possibilmente anche ciò solo dietro una sorta di griglia cibernetica. Non si interessano a quel che facciamo, se siamo felici noi, se abbiamo un lavoro o meno, oppure se anche a noi è piaciuto l'ultimo film con Johnny Depp o Angelina Jolie.
Quando tentiamo di instaurare una parvenza di comunicazione, ci chiedono se abbiamo il Microsoft Messenger; oppure: "Mi trovi su ICQ. Come? Tu non lo usi? Apriti subito un account!"

Un mio amico ha scritto un romanzo (un altro!) che, come sempre, ha dato da leggere ad amici e conoscenti. Dopo qualche tempo, incominciando a preoccuparsi perché non riceveva risposte, li ha sollecitati (via e-mail o voice fax) ad esprimere un giudizio. Finalmente hanno risposto tutti, o quasi: in maniera positiva. Cioè: hanno detto "Bello!" e "Bravo!".
Al che, il mio amico si è fatto coraggio e ha chiesto al sottoscritto di scrivergli una lettera di presentazione per gli editori.
Sarebbe la seconda in pochi mesi: una gliela avevo già scritta, per un altro suo libro, alla fine della scorsa estate.
"Ma non conosci nessun altro? Uno che sappia fare una critica decente e che abbia magari un piede dentro l'ambiente editoriale?"
La sua risposta:
"Tra i miei conoscenti ci sono persone con ben più di un piede dentro qualche casa editrice. Il fratello di un mio intimo amico, ad esempio, ha uno studio fotografico che serve la Rizzoli. E un mio cugino ha scritto per tre anni sulla rivista PC Professionale (edita dalla Mondadori) ed è in ottimi rapporti con il direttore responsabile. Ma... C'è sempre un 'ma'. Non si impegnano..."

Già. Ognuno è immerso in un bel bagno caldo di egocentrismo. Fin qui niente di strano: viviamo nell'Antropocene, dunque è giusto che l'uomo (inteso come io-soggetto) sia al centro dell'universo.

Ammesso e non concesso che un autore non possa scriversi una lettera di presentazione da sé (soprattutto quando è troppo impegnato a sfornare romanzi), perché dovrebbe prendersi la briga di farlo, quando, tra tanta indifferenza, tra tanto impassibile disinteresse, c'è ancora chi, come me, si mostra altruista, disponibile, forse caritatevole?
Ho ricordato all'amico di essere un fresatore CNC, e dunque occupato anche sul versante del "volgare" lavoro; ma ho paura che alla fine pure quest'altra lettera dovrò produrla io.

mercoledì, dicembre 06, 2006

Gli amanti del circolo polare


Un capolavoro misconosciuto

Medem, il nome del regista, è un palindromo: si legge nella stessa maniera anche da destra a sinistra. Ciò vale pure per Otto e Ana, i nomi dei protagonisti di questa splendida storia. Ana vive fedele al credo che niente è un caso, che ogni cosa è concatenata; e in effetti tutti gli avvenimenti che le accadono e quelli che accadono intorno a lei sembrano darle ragione. La ragazza ama il freddo e non è una coincidenza che, in ultimo, finirà in Finlandia, e più precisamente in Lapponia. La sua vita, a cominciare dall'età di otto anni (dal giorno della tragica morte del padre) si intreccia con quella di Otto, destinato a divenire il suo fratellastro-amante; ma sono tanti i fatti legati tra di essi, a cominciare dallo strano incontro tra un contadino spagnolo e un aviatore tedesco durante la Guerra Civile di Spagna. L'aviatore si rivelerà essere il nonno di Ana, poi emigrato in Finlandia insieme a una ragazza incontrata all'indomani del bombardamento di Guernica...

In questa coproduzione franco-ispanica, Julio Medem dimostra tutta la sua grandezza. La tenera love story tra Ana e Otto si spoglia della sua semplicità grazie ai pregevoli effetti visivi e alle complicanze disseminate lungo tutto il copione. Alcune scene, e cioè quelle rivisitate secondo un'ottica diversa, richiamano alla mente un altro bel film uscito nello stesso anno (1998): Lola corre, del regista tedesco Tom Tykwer.

La visione è raccomandata.

venerdì, novembre 24, 2006

Andrea Camilleri: 'Vi racconto Montalbano'

camilleri - vi racconto montalbano Si può certamente essere estimatori o meno del Camilleri scrittore (e il "meno" si riferisce in primis a chi non ama i termini dialettali incastonati nell'italiano), ma il Camilleri uomo non può che suscitare apprezzamenti. Il volume di interviste Vi racconto Montalbano è una sorta di Who's Who dell'uomo di lettere siciliano e del suo universo. I personaggi, le situazioni e i luoghi della sua vita (e dei romanzi) vengono qui passati in rassegna dallo stesso Camilleri con l'energia e l'entusiasmo che contraddistinguono l'ormai ottantenne, sempre sanguigno scrittore di Porto Empedocle.



Dal libro:

Quando ha capito che le cose stavano cambiando?

Ho avuto dieci anni di rifiuti dalle case editrici. Pensavo, in virtù della mia concretezza, che quella non era la mia strada. Quando Garzanti mi ha pubblicato Un filo di fumo, le tremila o cinquemila copie mi andavano bene.


A quel punto ha iniziato a considerarsi uno scrittore professionista?

Una volta Aldo Busi in una trasmissione, col suo consueto amore per il paradosso, disse che uno scrittore può dirsi tale quando ha venduto cinquemile copie. Perciò, io sentivo di avere la patente. E quando Elvira Sellerio mi disse che Il Birraio di Preston era arrivato a diecimila copie, esultai.


(...)

Ora, la cosa che più mi colpisce, essendo marxista da sempre, da quando sono nato e non lo sapevo, è non riuscire a non capire come nei miei riguardi si stia verificando l'auspicato fenomeno gramsciano di uno scrittore nazional-popolare. Perché mi legge gente che non ha mai letto nessun libro; mi legge il piccolo operaio, mi legge anche una minima parte di intellettuali. Nessuno ha considerato sociologicamente la mia letteratura. E, invece, avrebbe interessato me per primo uno studio di questo tipo. Invece, una parte dei critici mi ama, una minima parte; la maggior parte dei critici mi disprezza (non ci sono altre parole da poter usare), anche se sono critici marxisti.


Quindi il fatto, per esempio, che un Pietro Citati non si occuperà mai di lei non...

Mi lascia completamente indifferente, amico mio! Non è che si scrive per i critici, si scrive per il pubblico. Io scrivo per i miei lettori, non scrivo affatto per queste persone.





Andrea Camilleri
Vi racconto Montalbano. Interviste.
Casa editrice datanews

domenica, novembre 19, 2006

Orrore!

Stephen King ha imparato che cos'è la paura grazie a George W. Bush.

In un'intervista al magazine tedesco stern.de, King ha ammesso di aver "conosciuto cos'è la paura" tramite "l'infantile convinzione del Presidente americano di essere un messo divino sulla Terra". Prima - ha spiegato King - niente era mai riuscito a spaventarlo in tal modo.

L'autore di tanti bestsellers internazionali non ha fatto un segreto di essersi sentito sollevato dopo aver appreso i risultati dell'ultimo poll per il Congresso americano. Ha inoltre sottolineato che la gioia più grande per lui è stato il licenziamento del Ministro della Difesa Rumsfeld.

Stephen King si trova in questi giorni a Londra per presentare l'ultimo suo romanzo Love, da lui stesso ritenuto tra i suoi migliori in assoluto. Nell'intervista a stern.de, King ha tra l'altro parlato dell'importanza che riveste sua moglie Tabitha per il buon esito della sua attività letteraria.

mercoledì, novembre 15, 2006

God Bless America!

God Bless America!

di Harold Pinter



Rieccoli,
gli Yankees nella loro parata armata
a cantare le loro ballate di gioia
galoppando attraverso il vasto mondo
e lodando il Dio d'America.

I rigagnoli sono intasati di morti
quelli che non potevano esserci
quegli altri che si rifiutavano di cantare
quelli che stanno perdendo la loro voce
quelli che hanno dimenticato il motivo.

I cavalieri hanno fruste taglienti
la tua testa rotola sulla sabbia
la tua testa è uno stagno nella sporcizia
la tua testa è una macchia nella polvere
i tuoi occhi sono fuorusciti e il tuo naso
sente solo la puzza della morte
e tutta quest'aria morta è ricca
dell'odore del Dio d'America.



(traduzione di franc'O'brain)


Poesia pubblicata il 22 gennaio 2003 sulla rivista americana CounterPunch (www.counterpunch.org). Riprodotta in originale nel volume Harold Pinter - God Bless America. Scritti e interviste contro la guerra (Edizioni datanews).

martedì, novembre 14, 2006

RISOLTO IL PROBLEMA DELLE SCORIE NUCLEARI

di Robert Fisk

The Independent, 28 ottobre 2006

In Iraq, nel 1991, le forze americane e britanniche hanno usato centinaia di tonnellate di testate all’uranio impoverito (DU [Depleted Uranium n.d.t.]). Le loro ogive penetranti rinforzate erano fabbricate con i prodotti di scarto dell'industria nucleare. Cinque anni dopo un'epidemia di cancro è emersa in tutto il sud dell'Iraq; ma anche tra i soldati inglesi e americani.

Le iniziali valutazioni dell'esercito Usa mettevano in guardia contro gravi conseguenze per la salute pubblica se tali armi fossero state usate contro veicoli corazzati. Ma l'amministrazione USA e il governo britannico hanno poi fatto di tutto per sminuire queste affermazioni. Eppure i casi di cancro hanno continuato a diffondersi insieme a resoconti sul fatto che i civili in Bosnia - dove l'uranio impoverito era pure stato usato dall'aviazione della Nato – stavano soffrendo di nuove forme di cancro. Le bombe all'uranio impoverito furono ancora una volta usate nell'invasione angloamericana dell'Iraq nel 2003...

domenica, novembre 05, 2006

I tedeschi: "Risparmiatecelo!"

BERLUSCONI PUNTA A PRO7 MA IN GERMANIA LO DETESTANO

Mediaset cerca nuovi mercati; da sempre sbircia verso la Germania, e ora che il dominio in Italia è minacciato, Berlusconi considera seriamente la possibilità di lanciare un'offerta per la tedesca ProsiebenSat1 (potente compagnia che raccoglie diversi canali televisivi privati, tra i quali Pro7 e Sat 1). Come fa notare il Financial Times, Mediaset è una delle "poche società che hanno l'ambizione e la possibilità di stringere un accordo da 5 miliardi di euro". Sussistono però molti dubbi su un'approvazione delle authority. In Germania il nome di Berlusconi è quasi sinonimo di mafioso, e nel collettivo immaginario ha sostituito quelli di Mussolini e di Al Capone, finora usati come offesa nei confronti dell'Italia e degli italiani.
Nella 'Lex column' del Financial Times viene osservato che difficilmente l'operazione potrebbe essere accolta positivamente dai tedeschi, dopo "l'osservazione fatta dall'ex primo ministro quando disse a un membro tedesco del Parlamento Europeo che sarebbe stato perfetto nel ruolo di guardia in un campo di concentramento. Il giudizio ancora brucia" sostiene il quotidiano inglese, "ed è quindi improbabile che ci passino sopra."

mercoledì, novembre 01, 2006

Ma a chi serve Halloween?

Ieri 31 ottobre. Questa cavolata di Halloween, con la quale abbiamo viziato i nostri già stramaledettamente malati figli, mi ha rotto veramente le scatole. Sono stato importunato da gruppi di piccole pesti dapprima per strada, ieri sera, poi sulle scale, e infine sulla porta di casa, che ho dovuto aprire almeno cinque volte a causa di altrettante scampanellate furiose (e che hanno finito per fare infuriare anche me).

Ma che streghe e maghetti del diavolo! Continuiamo a corrompere così i nostri spermii, a infondergli idee di mondi paralleli orrifici, distogliendo la loro mente dai problemi concreti che affliggono la vita quotidiana (Napoli e dintorni, e questi "dintorni" contengono anche la Brianza e il Varesotto...) e il nostro mondo continuerà essere peggiore di quanto già non sia.

L'unica ricorrenza festiva americana che ha veramente un senso è il giorno di San Valentino.

Genitori, maestri di scuola, assistenti sociali: svegliatevi!

domenica, ottobre 29, 2006

Anna Politovskaja, giornalista siciliana

di Riccardo Orioles

(Apparso su La Catena di Sanlibero, n. 342)

Anna Politovskaja, giornalista siciliana. Anche stamattina, al giornale, i colleghi hanno dato un'occhiata alla scrivania vuota e si sono messi al computer a lavorare. Il potere e' mafioso, lo si sa: pero' loro lo scrivono, fanno i nomi e i cognomi, e sono soli. Di chi e' la scrivania vuota? Chi e' il collega, assassinato dagli imprenditori mafiosi, che fino all'altro giorno scriveva? In che lingua scriveva? In russo, in italiano, in castigliano? Russia, Sicilia, Colombia? E che importanza ha. Siamo in un paese dove l'informazione non e' libera, dove i politici al massimo livello fanno accordi coi mafiosi (si chiamino Cuffaro o Putin, gioviali notabili o cupi apparatniki), dove l'imprenditoria e' collusa, dove il popolo fiaccato da rassegnazione e miseria non osa alzare la testa eppure (essi sanno benissimo) un giorno, grazie a loro che resistono, la rialzera'. E in quale chiesa si sono svolti stavolta - sempre piu' soli e inutili - i funerali? Pochi compagni attorno, dichiarazioni sprezzanti ("La mafia qua non esiste", "Nessuno stava a leggere il suo giornale") delle Autorita'. E quell'applauso commosso, di quelle poche centinaia di impauriti ma consapevoli cittadini. E loro che si allontanano, a spalle chine, per ritornare alla redazione, a scrivere tutto cio' che e' successo, anche in questa giornata. Manderanno ai giornali esteri ("I servizi hanno sequestrato il suo computer", "stava facendo un'inchiesta sui massacri") note redazionali. Aggiorneranno il palinsesto di questo numero, sperando che gli edicolanti - almeno per un altro po', almeno qualcuno - acconsentano a esporre ancora il giornale. Non parleranno, fra di loro, di lei, salvo che per ragioni di lavoro. Ma a lei penseranno ogni attimo, firmando le nuove inchieste, guardando la rotativa che le stampano, seguendo con lo sguardo le macchine che si allontanano portando dovunque possibile le copie del giornale.



* * *

Nessuno scrive piu' di te, Anna, ed e' passato appena un paio di settimane. Ci sono altre cose da scrivere, guerre, re, star system, presidenti, cantanti: altri eventi del vasto mondo ingombrano la grande stampa internazionale. Hanno scritto che eri una giornalista, una brava giornalista, e che sei morta: cosa potevi chiedergli di piu', a questi illustri e - per quasi due giorni - partecipi colleghi? E' nelle povere stanze e fra i computer rabberciati, con gli altri redattori dei tuoi stenti giornali, che ancora vive il Giornalismo. Lui non ti ha dimenticata, ne' tutti gli altri come te.



____________

Giornalismo. Convegno della stampa libera siciliana, il 4 e 5
novembre a Catania. Come spezzare il monopolio, come dare tecnologie
alla liberta'. Come organizzarsi - insieme. Come trasformare.

Info: riccardoorioles[AT]sanlibero[DOT]it, lucio[AT]sanlibero[DOT]it

sabato, ottobre 28, 2006

Ich arbeite, tu lavori, he works...

http://www.francobrain.com/arbeite.htm


Io lavoro, tu arbeitest, egli fatica... Il verbo più assurdo del mondo declinato in decine e decine di lingue diverse.
Una pagina inutile quanto affascinante. E divertente sebbene il soggetto sia di una tragicità immane.

http://www.francobrain.com/arbeite.htm

Useless page: the verb 'to work', 'working', in many languages. By Peter Patti, from the novel Weltgeist Superstar by P.M. (Rodulf von Gardau). Reali(s)zation: franc'O'brain & Transputer Qasar.

Libri. Books. Buecher. Lavorare, arbeiten, malochen.
Languages: English, Italian, Hungarian, German, Spanish, Swedish, Urdu... By Peter Patti.
Abbasso il lavoro! Nieder mit der Arbeit! Viva il lavoro! Hurra I got a job!

http://www.francobrain.com/arbeite.htm


Da un'idea originale di P.M. (Rodulf von Gardau) , interessantissimo scrittore svizzero-tedesco.





References:
useless page, books, peter patti, to work, to die, lavorare, arbeiten, malochen, fatigue, jag arbejder, languages, English, Italian, Hungarian, German, Spanish, Swedish, french, russian, franc'O'brain, trabalho, working, lavoro, Rodulf von Gardau, p m, weltgeist, superstar, tripura transfer, rabotaju, libri, jag arbetar, schriftsteller, deutsch, schweiz, minä teen työtä, musica, music, musik, genesis, autoren, authors, autori, patti, frank brain, frankobrain, francobrain, ik werk, jaz delam, eg vanna.

domenica, ottobre 22, 2006

'Fascisti su Marte'

Fascisti su Marte; Corrado Guzzanti
"Alle ore 15 del 10 maggio 1939, Marte è fascista!"

Girato in parte nella cava della Magliana, nei pressi di Roma, racconta l’epopea del gerarca fascista Barbagli (Corrado Guzzanti) e dei sui fidi camerati, inviati da un paese (il nostro) il cui Presidente ama esclamare: "Me ne frego!"
Il film, basato sui "cinegiornali" all'interno della trasmissione televisiva Il caso Scafroglia, illustra le vicissitudini "spaziali" di un manipolo di Arditi, dall’arrivo sull’ostile Pianeta Rosso fino all’imprevisto epilogo, passando per grandi scoperte, temerarie avventure, improbabili amori, incontri alieni e persino visioni mistiche.
La parodia non investe soltanto i neofascisti italiani (dileggianti con lazzi e marziali risa...) ma anche il cinema, con un monolite nero che viene direttamente da 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick: scena oltre che assolutamente spassosa anche geniale per la scelta della citazione.



Vite segnate dalla gloria, braccio e mano del Duce, uomini di fato intrisi, che soli videro l'onore di sentir scoccare l'ora del destino... con un moschetto e un "me ne frego" dentro al cuor!

sabato, ottobre 21, 2006

Harold Pinter: 'God bless America'



Harold Pinter
God bless America. Scritti e interviste contro la guerra
Collana Ahlambra. Editrice datanews

<<C'è una vecchia storia su Oliver Cromwell. Dopo aver conquistato la città inglese di Drogheda, fece portare i suoi concittadini sulla piazza principale. Cromwell ordinò ai suoi tenenti: "Soldati! Uccidete tutte le donne e stuprate tutti gli uomini!" Uno dei suoi aiutanti disse: "Mi scusi, tenente, ma non dovrebbe essere il contrario?" Una voce dalla folla gridò: "Mr. Cromwell sa cosa sta facendo!"

Quella è la voce di Toni Blair: "Mr. Bush sa cosa sta facendo!"

Il fatto è che Mr. Bush e la sua gang sanno davvero cosa stanno facendo, e anche Blair, a meno che non sia l'idiota deluso quale spesso appare, sa cosa stanno facendo. Bush & Company sono molto determinati, semplicemente, a prendere il comando del mondo e delle risorse mondiali. E non importa loro un fico secco di quante persone devono uccidere per raggiungere i loro obiettivi. E Blair ubbidisce.

Non ha il supporto del Partito Laburista, non ha il supporto del paese né tanto meno della tanto declamata "comunità internazionale". In che modo, dunque, può giustificare l'entrata in guerra di un paese che non la vuole? Non può. Può soltanto fare ricorso alla retorica, ai cliché e alla propaganda. Chi l'avrebbe mai detto, quando votammo Blair, che saremmo poi arrivati al punto di disprezzarlo. L'idea secondo la quale lui avrebbe influenza su Bush è ridicola. La sua accettazione passiva della prepotenza degli Stati Uniti è patetica.

La prepotenza è, naturalmente, una tradizione americana consacrata dal tempo. Nel 1965, rivolgendosi all'ambasciatore greco negli Stati Uniti, Lyndon Johnson disse: "Fanculo il vostro Parlamento e la vostra Costituzione. Gli Stati Uniti sono l'elefante, Cipro è la pulce, La Grecia è la pulce. Se queste due bestioline continueranno a fare il solletico all'elefante, le prenderanno dalla sua proboscide, e le prenderanno di santa ragione."

Non parlava per metafore. Poco tempo dopo, i colonnelli, supportati dagli USA, si insediarono in Grecia e il popolo greco visse sette anni all'inferno.

Riguardo l'elefante americano, è cresciuto fino a divenire un mostro di proporzioni grottesche e oscene.

La terribile atrocità a Bali non altera, affatto, la raltà dei fatti.

Il "rapporto speciale" che lega gli Stati Uniti e il Regno Unito ha sommato i migliaia di morti negli ultimi dodici anni ai migliaia di morti in Iraq, Afghanistan e Serbia. Tutto questo per perseguire gli scopi della "crociata morale" di Stati Uniti e Regno Unito volta a portare "pace e stabilità" nel mondo.

(...) Bush ha affermato: "Non permetteremo che le armi più pericolose del mondo rimangano in possesso dei leader più pericolosi del mondo." Giusto. Guarda un po' nello specchio, amico. Quello sei tu.>>

In questo compendio dal titolo God bless America. Scritti e interviste contro la guerra, il commediografo, regista, attore e poeta inglese di origine ebrea Harold Pinter (Premio Nobel 2005) lancia i suoi strali contro gli Stati Uniti d'America, denunciando il dramma dei massacri e delle ferite provocati dall'impero, dalla rivolta sandinista ai prigionieri di Guantamano, dal boicottaggio nei confronti di Cuba alla guerra in Iraq, e rilancia il tema della speranza.




Infos e ordini: datanews
http://www.datenews.it/

domenica, ottobre 15, 2006

Chuck Palahniuk: 'La scimmia pensa, la scimmia fa'

Chuck Palahniuk torna con un libro di brevi storie che mostrano bene come la realtà nuda e cruda non abbia niente da invidiare alla fantasia più sfrenata.


In La scimmia pensa, la scimmia fa (Stranger Than Fiction), si legge di un'orgia gigantesca in un locale in mezzo al nulla del West di oggi, di un torneo di combattimenti tra enormi mietitrebbiatrici, di una spedizione su un sottomarino nucleare, di un vis-á-vis improbabile con Marilyn Manson, degli allenamenti feroci (e le orecchie a cavolfiore) dei lottatori e molto altro ancora. Ma la parte più sconvolgente è quella che racconta le vite passate e presenti dell'autore: i suoi anni spesi tra lavori pesantissimi di giorno, volontariato in ospedali di notte, le circostanze terribili dell'assassinio di suo padre e del processo al killer.


***

Charles Michael "Chuck" Palahniuk è uno statunitense nato il 21 febbraio 1961 da padre di origine ucraina e madre di origine francese. Prese la laurea all'università dell'Oregon, e nel 1996 divenne di colpo un autore di culto con Fight Club, suo debutto ufficiale come scrittore. Dal romanzo fu tratto un film di altrettanto successo, diretto da David Fincher e interpretato da Brad Pitt ed Edward Norton.
Di lui si parla ovunque, riviste patinate e trasmissioni lo cercano, ma spesso invano. La società, questa società, non piace a Palahniuk. Anche in Soffocare, il suo quarto romanzo, lui la critica senza pietà. "Dopo aver visto un film porno, in cui un tipo si fa infilare da una scimmia delle caldarroste nel retto, non si temerà più nulla dalla vita".
Dal 2002 al 2005 la sua produttività aumenta, proporzionalmente alle sue geniali sceneggiature. Ninna Nanna è un noir-thriller fenomenale, in cui un giornalista vedovo si trasforma nel detective più semplice, complessato e, soprattutto, normale, che la storia della letteratura ricordi. In Cavie scopriamo tutto il genio di Palahniuk, che si inventa un moderno Decamerone, dark e grottesco, parabola serrata e devastante sulla spasmodica caccia alla fama e alla celebrità, che in questo tempo di reality onnipresente torna attualissimo.


La scrittura di Palahniuk è scientifica e cruda: eliminazione del superfluo; battute drastiche, fredde; ripetizioni volute. Rasenta il grottesco enfatizzando le parole per far esplodere le frasi. I contenuti sono assolutamente nichilisti. Punto cruciale delle sue narrazioni è la necessità di liberarsi dalle oppressioni della società, dalle competizioni, dai mass media che "ci fanno comprare cazzate che non ci servono".
Il suo stile - non solo letterario ma anche di vita - è simile a quello di Breat Easton Ellis, Irvine Welsh e Douglas Coupland. Sempre provocatorio e contraddittorio, dice di non possedere un apparecchio televisivo e non nasconde la propria omosessualità.
"Forse c'era una vena di pazzia nella famiglia e aspettarono che avessi vent'anni per lasciarmelo sospettare". A quell'età suo padre gli raccontò che il nonno aveva ucciso la nonna a colpi di pistola e poi si era sparato, mentre lui, il padre, andava a nascondersi sotto il letto. Anni dopo, suo padre conobbe una donna attraverso annunci per incontri e uscì con lei. Al ritorno a casa, l'ex-marito di lei li uccise entrambi e poi bruciò i corpi nel garage.


Dice uno dei suoi protagonisti: "La realtà è che uno vive finché non muore. E la verità è che nessuno vuole la realtà."



....BIBLIOGRAFIA

Romanzi

* Fight Club (1996)
* Survivor (1999)
* Invisible Monsters (1999; ma in realtà scritto prima di Fight Club)
* Soffocare (Choke) (2001)
* Ninna Nanna (Lullaby) (2002)
* Diary (2003)
* Cavie (Haunted) (2005)

Saggistica, scritti vari

* Portland Souvenir (Fugitives and Refugees: A Walk in Portland, Oregon) (2003)
* Stranger Than Fiction: True Stories (2003)

venerdì, ottobre 13, 2006

Nobel per la Letteratura 2006


Premio Nobel meritatissimo per il 54enne turco Orhan Pamuk (Il castello bianco, Istanbul, Il mio nome è rosso, Neve, La nuova vita, Il libro nero, La casa del silenzio). Con la sua prosa Pamuk ha gettato un ponte tra il romanzo moderno e le tradizioni mistiche dell'Oriente. Sempre in prima linea nell'impegno per i diritti dell'uomo, è stato più volte denunciato in Turchia - tra l'altro perché si oppone a un'entrata del paese nell'UE, ma soprattutto per aver infranto l'Articolo 301 del Codice Penale parlando del massacro, da parte dei turchi, di un milione di armeni e di trentamila kurdi in Anatolia durante la Prima guerra mondiale.

L'anno scorso il Nobel fu assegnato al drammaturgo inglese Harold Pinter.

sabato, ottobre 07, 2006

Italia-Ucraina 2-0

Questa notizia non viene commentata per solidarietà con i giornalisti della stampa e della radio-tivù, che sono in sciopero.

Scandalo letterario turco in Germania

Fu plagio o si tratta di una geniale operazione pubblicitaria della casa editrice, la quale può così vendere due libri invece di uno? Noi pensiamo piuttosto alla prima opzione, anche se la seconda non è da escludere.

Nella primavera del 2006 esce Leyla, romanzo di Feridun Zaimoglu incentrato sulle vicende di una donna nata e cresciuta in Turchia e poi emigrata in Germania. I critici si uniscono in un coro di osanna, senza accorgersi delle strane somiglianze con Das Leben ist eine Karawanserei, una delle opere più belle e importanti di Emine Sevgi Özdamar, uscita per i tipi dello stesso editore - Kiepenheuer & Witsch - nel 1992.



Il 41enne turco Zaimoglu si era già dimostrato bravo a raccogliere con il suo registratore portatile le testimonianze di suoi connazionali e a trasporle su carta: lo ha fatto per Kanak Sprak e per Abschaum (titolo in italiano: Schiuma): libri l'uno sulla condizione dei giovani turchi in Germania (e anche sul loro modo di parlare: il "kanakster" è il gergo dei "canachi", degli immigrati in "Kanakistan"), l'altro su un carcerato che gli ha affidato la propria storia e quella dei suoi compagni di strada e di coltello, come lui anatolici.

Un esordio di grande successo; autentica "letteratura sociale". Zaimoglu ne ha scritti altri, di libri, tutti incentrati su argomenti consimili (la vita degli emigrati), e tutti quanti giustamente lodati. Dunque: un bravo autore.

Dice di aver compiuto un'operazione uguale, ovvero una sorta di intervista, anche per Leyla: avrebbe poggiato il registratore sul tavolo tra sé e la propria madre e questa gli avrebbe raccontato le sue peripezie da bambina e poi da ragazza nella città natia, finché non prese la decisione di lasciare la Turchia per cercare fortuna nella mitica "Alamania". Dopodiché, Zaimoglu ha trasformato il racconto materno in prosa letteraria; una prosa ben diversa da quella - radicale - dei suoi primi lavori: meno rivoluzionaria, più del tipo "storia-della-povera-piccola-indifesa-indigena" che tanto va di moda in questo periodo. Leyla, uscito nel marzo 2006, ha fatto gridare al capolavoro, riempiendo i feulleittons delle maggiori testate tedesche.

Senonché, un giorno una critica letteraria che desidera rimanere incognita pubblica a sorpresa un pamphlet in cui elenca i "curiosi parallelismi" del romanzo di Zaimoglu con Das Leben ist eine Karawanserei, hat zwei Türen, aus einer kam ich rein, aus der anderen ging ich raus. ("La vita è un caravanserraglio, ha due porte, da una entrai e dall'altra uscii"), pubblicato quattordici anni prima da Emine Sevgi Özdamar, scrittrice di lingua tedesca e anche lei, come Zaimoglu, di origine turca.



La Özdamar, nata a Malatya nel 1946, è attrice, regista e commediografa. Si trasferì in Germania nel 1965, diciannovenne, spinta dall'amore per Bertolt Brecht; ma dovette fare l'operaia in fabbrica prima di poter partecipare a diverse produzioni della Volksbühne di Berlino Est. Alternò il lavoro teatrale con la frequentazione a Istambul di una scuola di recitazione (ma aveva calcato le scene già a 12 anni, in un teatro di Bursa). Si impiantò definitivamente in Germania per recitare alla Schauspielhaus di Bochum e passò poi al cinema, interpretando diversi ruoli in pellicole di Doris Dörrie, Fatih Akin e altri registi.

Cominciò a scrivere romanzi, poesie e racconti nel 1982. Il suo realismo intriso di magia, basato sull'abile tessitura di un materiale linguistico assai ricco, le ha fatto guadagnare numerosi premi e riconoscimenti, tra cui l'Ingeborg-Bachmann-Preis. Considerata tra le massime rappresentanti della cosiddetta "Migrantenliteratur", ha spianato la strada a tanti giovani autori, tra i quali è da annoverare Zaimoglu.



Feridun Zaimoglu è nato a Bolu, in Turchia, nel 1964, ma vive in Germania dal 1965. E' il classico turco-tedesco delle ultime generazioni, con due patrie e nel contempo senza radici. La sua dichiarata ammirazione per Emine Sevgi Özdamar va ben al di là dei comuni rapporti tra un'autrice e un suo fan, tant'è vero che Kanak Sprak, Abschaum e altri suoi libri dal carattere altamente ribelle, di protesta, possono dirsi ispirati non solo ai temi ma anche a certe innovazioni linguistiche della più anziana scrittrice.

L'hype intorno a questo autore è enorme. Leyla in pochi mesi ha venduto oltre 20.000 copie: più del libro della Özdamar in quattordici anni... La critica ufficiale non sembra affatto turbata dalla metamorfosi attraversata da Zaimoglu; dopo il successo delle prime prove letterarie, bissato da quello di alcune adattazioni filmiche, i suoi toni sono andati via via smorzandosi, e ora non scrive più di "noi Kanak" e "loro tedeschi", ma di "noi tedeschi" e "loro stranieri", capovolgendo insomma i termini del discorso. Mentre all'inizio criticava soprattutto la patria d'adozione, è passato a fare il ritratto spietato di quella "feccia turca" di cui i tedeschi hanno paura, il volto cattivo dell'immigrazione.



Lo abbiamo già detto: Emine Sevgi Özdamar era il suo idolo. Ma, da quando è scoppiato il pasticciaccio che lo vuole plagiatore, lui va giurando di non aver mai letto un solo romanzo della collega (!). Inizialmente, a proposito di Leyla, raccontava di aver contattato oltre cinquanta donne per mettere insieme il materiale per il libro, ma in seguito dichiarò di aver "intervistato" solo la propria madre. Promette ai giornalisti di far sentire i nastri con i racconti della genitrice (ovviamente con l'aiuto di un interprete), ma ci impiega settimane a tirarli fuori; infine ne mostrerà solo sei, decisamente pochini per un libro che consta di ben 500 pagine.

"Telefonate pure a mia madre!" dice impettito a chi va a trovarlo chiedendogli ragguagli sull'accusa di plagio, "domandate a lei se non è vero!" La donna intanto è tornata a vivere con il marito in Turchia. Al telefono piange, si dispera. Afferma: "Questa è la mia storia! Me l'hanno rubata!"
Rubata? E' curioso: la Özdamar ha pubblicato il suo romanzo oltre un decennio fa...

Zaimoglu si mostra apertamente sorpreso nel leggere delle somiglianze tra i due libri, illustrate in decine e decine di articoli. "E' davvero un caso di criminalistica letteraria" cerca di scherzare. "Non capisco..."

Entrambi raccontano di una ragazza che nasce e cresce a Malatya (Turchia Orientale) negli Anni Cinquanta. Ambedue le protagoniste attraversano le medesime esperienze (violenza familiare, le prime mestruazioni che diventano una ragione per vergognarsi...) e sceglieranno per ultimo di emigrare. Ambientazione topografica e temporale, nonché struttura, potrebbero pure essere una coincidenza. Ma, purtroppo per Zaimoglu, i parallelismi non risiedono solo nella storia. Ciò che maggiormente stupisce sono quelli linguistici (l'anonima esperta di Germanistica ne ha scovati 160), e spesso addirittura l'uso delle stesse identiche parole. In Leyla, espressioni e metafore sono state appena appena mutate. La protagonista di Zaimoglu ama l'attrice "Kessrin Hepörn" (Katherine Hepburn), mentre la giovane del romanzo di Emine Sevgi Özdamar stravede per "Humprey Pockart". Per la Özdamar, l'Eufrate è un "fiume matto", un "serpente d'argento"; nel libro di Zaimoglu le acque dell'Eufrate "sono matte", il fiume "riluce d'argento" e scorre in "serpentine". Entrambe le ragazze hanno un fratello morto, che loro paragonano a un ragno (una metafora tipicamente turca; ma in Turchia vi sono centinaia di metafore che indicano i defunti, dunque perché proprio questa in tutt'e due i libri?). A scuola il bel fratello di Leyla, ovvero Djengis, viene sedotto dall'insegnante di Istambul (una figura di cittadina fedele allo Stato: questo mi pare un particolare non irrilevante nel carosello di metafore e simboli assortiti che riempie il romanzo di Zamouglu), e un episodio praticamente uguale - però narrato in prima persona - si riscontra in "La vita è un caravanserraglio". Dopo l'atto sessuale, le due ragazze si infilano in bocca una gomma da masticare... e così via.


Bien entendu: al di là dei parallelismi con l'opera della Özdamar, Leyla impressiona per la gran quantità di originali allegorie e ammiccamenti alle condizioni e ai fatti della società anatolica. Inoltre è più che evidente che Zamouglu deve aver riflettuto a lungo sull'idioma della lingua del Paese in cui è cresciuto e dove ancora vive. Io ho rischiato di naufragare - piacevolmente, però! -, durante la ri-rilettura, nell'uso che Zamouglu fa della lingua tedesca. E non ogni cosa in Leyla è - o può essere - plagio; ergo: un lavoro notevole.


Già all'inizio del libro, il lettore è costretto a una piccola pausa per potersi orientare:



"Besser ist es, erst Pfirsich und dann Melone zu essen, denn Melone ist süßer. Sagt meine Mutter. Wo ist dein Kettchen? Dort, wo mein Tand ist, sage ich. Und was hast du für einen Tand angesammelt? Kindertand. Runde kleine Steine."



"Tand"? "Kindertand"? ("gingilleria da bambini": così lo traduco io). Come può una bambina di 5 anni parlare così? - si chiede chi legge. Ma nella "terra degli avi" sembra essere proprio questo il linguaggio vigente; una poesia che si direbbe radicata nelle pietre e nella carne, e che fiorisce insieme alla stessa miseria... La descrizione del profumo delle arance stivate in casa dal padre putativo, quelle arance che vanno a male e che eppure "non possono essere toccate", rimane a lungo nella memoria... così come tutte le osservazioni "quotidiane" dei gesti e delle cose comprese entro l'orizzonte sensitivo della protagonista.

Insomma, proprio un bel romanzo!... Senonché, Leyla agisce e addirittura pensa in maniera "stranamente" simile al carattere del libro di Emine Sevgi Özdamar.
Il quesito che ci si pone è: si può essere tanto stupidi? Possibile che un autore di successo come Feridun Zaimoglu abbia bisogno di copiare? E' vero: di questi tempi in Germania va forte il filone della "piccola indigena infelice", ma perché Zaimoglu non si è limitato a scrivere ciò che sa e che può, invece di cercare di reinventarsi alla svelta come profondo conoscitore del mondo femminile?



Tuttavia, la cosa più sconcertante della vicenda è un'altra: la maniera in cui i critici affermati hanno cercato di negare le evidenze, declassandole a "vaghi indizi", invece di ammettere di aver preso un grosso abbaglio. In tal senso, si può dire che Feridun Zaimoglu sia nato con la camicia. Anche perché la Özdamar, dopo la comprensibile indignazione iniziale nei confronti del connazionale, ha deciso di chiudersi in un decente silenzio, spiegando di non aver "mai mosso accuse di plagio" (Frankfurter Rundschau del 10 giugno 2006).

Meno male per lei! Eh, sì, perché Zaimoglu aveva già minacciato di intraprendere provvedimenti legali contro la collega e contro chi altri facesse "certe allusioni". Ad un certo punto è stato persino lui ad alludere a un possibile plagio di lei: "Ho scoperto che una mia zia, sorella di mia madre, è stata nello stesso dormitorio femminile in cui per un certo periodo dimorò anche Emine Sevgi Özdamar. Si sa: a sera le donne si raccontavano episodi della propria vita, e forse la signora Özdamar si prese degli appunti dai quali è poi nato quel suo romanzo..."

Quindi, en passant, ha annunciato allegramente che il secondo volume della saga sulla "sua" eroina uscirà probabilmente già entro quest'anno.

sabato, settembre 23, 2006

La tragedia del Transrapid

transrapid La Deutsche Bahn (Ferrovie Tedesche) stavolta c'entra solo in parte. Molti sono stati gli incidenti ferroviari da quando in Germania le rotaie (così come le poste e tante altre infrastrutture) sono state privatizzate, nel corso di quella vasta operazione di svendita iniziata negli Anni Ottanta, ancora al tempo del cancelliere Kohl. Il Transrapid è infatti una creatura della Thyssen-Krupp, che ne gestisce il funzionamento insieme alla Siemens. E' in funzione dal 1984, su una linea di 12 chilometri perennemente sperimentale che trasfigura come una cicatrice il paesaggio dell'Emsland, in Bassa Sassonia. Miliardi e miliardi di marchi, poi di euro, sono stati pompati nel progetto, che la Thyssen (più tardi: Thyssen-Krupp) porta avanti appunto insieme alla Siemens: due aziende tristemente note per la loro politica del lavoro (licenziamenti, trasferimenti coatti di manodopera e di forze impiegatizie, precarietà a tutti i livelli).
L'incidente di ieri è arrivato in un momento poco propizio anche per i politici (Edmund Stoiber della CSU in prima fila), i quali, proprio nelle ultime settimane, hanno tenuto svariati sermoni affinché il "Projekt Transrapid" acquistasse finalmente quota, divenendo una realtà redditizia.
Il treno si è schiantato a 200 Km/h contro un carrello della manutenzione. Era stato fatto partire malgrado il veicolo con gli operai fosse ancora sulla linea, come del resto ogni altra mattina. I due operai si sono miracolosamente salvati, saltando di lato all'ultimo momento, ma per quasi 30 dei passeggeri del Transrapid, che sedevano nel primo vagone (andato completamente distrutto), non c'è stato nulla da fare.
Ancora le vittime non sono state tutte identificate, ma si tratterebbe di parenti e conoscenti del personale del Transrapid e di impiegati del consorzio energetico RWE usciti "in gita aziendale".
transrapid - un gioiello di ingegneria tedesca Annunciato al suo nascere come un gioiello di ingegneria tedesca, "il treno senza ruote" avrebbe dovuto essere esportato in tutto il mondo, ma finora l'unico Paese che ha voluto acquistarlo è la Cina, che ha costruito una linea sopraelevata a Shanghai, dove 30 chilometri vengono coperti in appena otto minuti (lì il Transrapid viene spinto fino a una velocità di 430 Km/h, e si sta progettando di allungare il tratto di altri 160 chilometri, fino alla città di Hangzhou). Nella stessa Germania, il "treno del futuro" effettua tuttora solo viaggi di prova. Un esperimento permanente... Il personale frequenta continuamente dei corsi, insieme ai loro colleghi cinesi.
Il Transrapid sfrutta la levitazione magnetica, o maglev: significa che viaggia sospeso in aria su una rotaia grazie alla repulsione magnetica. Sulla presunta sicurezza di questo mezzo sono sempre infuriate le polemiche. (Appena nello scorso giugno, a Shangai, uno dei vagoni ha preso fuoco.) A parte tutto, gli ambientalisti fanno osservare lo scempio che una rotaia sopraelevata compie sul paesaggio, nonché il fatto che gli effetti sul corpo umano di un inteso campo magnetico rimangono tuttora sconosciuti. Ma ci sono moltissimi soldi in gioco e i politici di spicco, molti dei quali occupano una poltrona nelle sale dirigenziali di grandi imprese, pensano ovviamente al proprio tornaconto.
Il consorzio Thyssen-Krupp diventa sempre più nervoso per il dilatarsi delle scadenze e negli ultimi tempi ha minacciato di voler vendere la tecnologia ai cinesi se in Germania il progetto non sarà portato avanti. Parallelamente, Edmund Stoiber, presidente dei ministri bavarese, ha accusato i cinesi di "rubare la nostra tecnologia" facendo così affari "con le nostre invenzioni".
Non è ancora chiaro, in realtà, quanto proficua sia la tecnologia del Transrapid. E' ormai palese che i tedeschi non riusciranno mai ad ammortizzare i costi degli impianti, nemmeno se domani stesso venissero aperte altre tratte.
Per il 1994 era stata prevista la prima linea in Germania, tra Amburgo e Berlino, ma il governo sospese i lavori; così come sospese quelli di un "Metrorapid" che avrebbe dovuto unire la Renania e la regione della Ruhr. Per il futuro imminente era stato progettata una linea a Monaco di Baviera (da inaugurare nel 2008) per collegare la stazione centrale con il nuovo aereoporto, ma, a causa delle spese (due miliardi di euro; tendenza in crescita), oltre che della tragedia avvenuta ieri mattina nell'Emsland, probabilmente non se ne farà niente.
Non solo l'Italia ha i suoi Ponti di Messina...


transrapid - la tragedia

I più gravi incidenti ferroviari in Germania (nell'ultimo trentennio)

8 giugno 1975: sul tratto Monaco–Lenggries si scontrano due treni veloci per colpa di errori "d'ufficio" nei calcoli degli orari di transito. 41 morti, 122 feriti.

22 luglio 1975: Nella stazione Hamburg-Hausbruch un treno locale si scontra frontalmente con un rapido. 11 morti, 125 feriti.

31 ottobre 1982: Nei pressi di Potsdam un convoglio merci si scontra contro un treno passeggeri affollato. Il macchinista del merci non aveva visto i segnali per via della fitta nebbia. 8 morti, 55 feriti.

29 febbraio 1984: Nella stazione di Hohenthurm, vicino a Halle, il diretto Berlino-Saarbrücken si scontra con un altro treno passeggeri. Il macchinista del diretto non aveva visto il rosso, sempre per colpa della nebbia. 11 morti, 46 feriti.

11 ottobre 1985: Vicino a Magdeburg si stanno effettuando lavori di ristrutturazione sulla linea, e per questo non sarebbe consentito il traffico a doppio senso. Un treno passeggeri si scontra frontalmente con una locomotiva diesel. La causa: errori del caposervizio nei calcoli degli orari. 13 morti, 40 feriti.

3 dicembre 1988: Vicino a Görlitz, un treno a vapore della Polonia si scontra frontalmente con un treno passeggeri delle ferrovie della DDR. Il macchinista polacco non aveva visto un segnale rosso. 8 morti, 4 feriti.

2 febbraio 1990: Nella stazione di Rüsselsheim si scontrano un treno della metropolitana che stava partendo e un treno passeggeri in arrivo. Uno dei due macchinisti non ha notato il segnale di stop. 17 morti, 72 feriti.

15 novembre 1992: A Northeim in Niedersachsen (Bassa Sassonia) il diretto Innsbruck-Kopenhagen va a finire sopra un vagone merci deragliato a causa di un difetto al carrello ruote: 11 morti, 52 feriti.

29 settembre 1994: Vicino a Bad Bramstedt, Schleswig-Holstein, si scontrano due locali: 6 morti e 20 feriti.

5 luglio 1997: Vicino a Marburg, un convoglio merci perde parte del suo carico, consistente in lunghi tubi di acciaio. Uno dei tubi sfonda una fiancata di un espresso regionale che arriva dalla direzione opposta. 6 morti, 10 feriti.

3 giugno 1998: A Eschede (Olanda) deraglia l'ICE 884 della Deutsche Bahn, a causa della rottura di una ruota provocata con tutta probabilità da un oggetto di metallo presente sui binari. Il treno va a schiantarsi a oltre 200 Km/h contro il pilone di un soprapassaggio. 101 passeggeri muoiono.

6. febbraio 2000: Poco dopo la mezzanotte, mentre sta arrivando alla stazione di Brühl, il diretto 203 Amsterdam-Basilea deraglia. 9 morti; 149 i feriti, quasi tutti gravi.

11 giugno 2003: Vicino a Schrozberg, presso Schwäbisch Hall (nel Bundesland Baden-Württemberg), si scontrano due treni regionali. 6 le vittime.

1 aprile 2004: Sulla linea Basilea-Friburgo un ICE prende in pieno un trattore che è rimasto bloccato sui binari mentre tentava di attraversarli. La locomotiva dell'ICE deraglia e per fortuna sfiora soltanto un altro ICE che sta transitando sul binario vicino. Tutti illesi i passeggeri.

5 maggio 2004: A Weyhe, nei pressi di Brema, un merci investe tre bambini che giocavano a fianco dei binari. I tre, tutti dell'età di quattro anni, periscono sul colpo.

19 luglio 2005: A un passaggio senza sbarre di Miesbach, Alta Baviera, un'automobile con a bordo due giovani viene colpita in pieno da un treno e trascinata per oltre quaranta metri. Nessuna speranza per i due.

25 agosto 2005: In un passaggio a livello incustodito in Sollstedt, Turingia, un'auto con a bordo due donne viene speronata da un regionale. Morte le due passeggere dell'auto.

22 settembre 2006: Un Transrapid che viaggia a 200 Km/h colpisce una piattaforma per la manutenzione sul tratto sperimentale della sopraelevata magnetica nell'Emsland. Quasi 30 i morti, tutti passeggeri del Transrapid. I due operai che erano sul mezzo manutenzione si salvano miracolosamente.

domenica, settembre 17, 2006

Giampietro Stocco: 'Dea del Caos'



Anno 2005. Da trent'anni Genova e' la capitale della Repubblica Democratica Cisalpina, ovvero il nord-ovest d'Italia. Il nostro Paese e' infatti diviso in tre fin dal 1976, quando il fascismo cadde dopo oltre mezzo secolo di regime, con l’invasione tedesca e la fuga di Galeazzo Ciano (successore di Mussolini) in Germania.

Il giornalista Marco Diletti, gia' protagonista del romanzo fantapolitico Nero italiano, torna a confrontarsi con le oscure vicende del passato. Che cosa conteneva la cartella verde consegnata trent’anni prima a un giornalista televisivo? Qual e' il segreto di Antonio Murgita, l'ex leader comunista idolatrato dalle folle? E chi e' la Dea del Caos? Diletti, ora in pensione, viene assistito nelle sue ricerche dalla figlia Bianca...

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L’Autore: Giampietro Stocco (Roma 1961), giornalista del TGR RAI per la Liguria, prima di trasferirsi a Genova, dove risiede da cinque anni, ha lavorato ad Ancona e al GR2. Per Fratelli Frilli Editori, sempre nella collana Tascabili-noir, ha pubblicato Nero italiano (2003). Tra breve uscira' il suo nuovo romanzo di fantascienza Figlio della Schiera.



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Giampietro Stocco: Dea del Caos

Fratelli Frilli Editori, collana Tascabili Noir

sabato, settembre 16, 2006

Denuncio infortunio

Io sottoscritto XXX XXXXX residente in via XXXXX n. XX denuncio un sinistro infortuni avvenuto il 15.5.1985 alle ore 17.30

Quando sono arrivato a casa ho scoperto che il vento aveva fatto volare dal tetto alcune tegole. Ho quindi installato sul tetto una trave con una carrucola ed ho visto due casse piene di tegole. Terminata la riparazione mi sono accorto che rimanevano sul tetto parecchie tegole inutilizzate, ho quindi usato una cassa, ho fissato una corda in basso e sono risalito per riempire una cassa di tegole. Poi sono sceso e ho staccato la corda. Purtroppo la cassa di tegole era più pesante di me e prima di rendermi conto di cosa stava accadendo la cassa ha cominciato a scendere sollevandomi da terra.
Ho cercato di aggrapparmi alla corda e a metà cammino da terra ho incrociato la cassa che scendeva la quale mi ha colpito ad una spalla. Intanto ho continuato a salire battendo la testa contro il muro, la trave e la grondaia e schiacciandomi le dita nella carrucola. Arrivato all'altezza del tetto, nel momento in cui la cassa tornava a terra la cassa toccò terra con tale violenza che il fondo della cassa si frantumò disperdendo le tegole sul suolo. A questo punto mi trovai più pesante della cassa e ripartii a tutta velocità verso terra, colpendomi la tibia con la cassetta che risaliva a tutta velocità. Quando sono atterrato le tegole rotte che si trovavano sul suolo mi ferirono gravemente, non ho fatto neppure in tempo a svenire che la cassa ridiscese cadendomi in testa e mandandomi definitivamente all'ospedale.

Seguiranno certificati medici.

Distinti saluti,
XXX XXXXX

giovedì, settembre 14, 2006

I Mafia Boys espugnano l'Upton Park

Proud to be mafiosi!

Le ultime due squadre che avevano accostato il Palermo alla mafia (Anorthosis e Slavia Praga) furono eliminate proprio dai Rosanero. Toccherà anche al West Ham uscire dalla competizione europea? Tutto lascia prevedere di sì!



La maglietta incriminata, da alcuni giorni in vendita a Londra


All'Upton Park di Londra, casa degli "Hammers":

West Ham United - Palermo 0 - 1

Greetings from the "Mafia Boys"!

martedì, settembre 05, 2006

Addio, Gigante Buono

Con Giacinto Facchetti si è spento il 4 settembre 2006 uno dei pochi, ultimi gentlemen del calcio. Il male (un tumore al pancreas, inguaribile) gli era stato scoperto pochi mesi prima, in occasione di un'operazione al menisco.
Integro, uomo di famiglia, amico dei lavoratori: quest'uomo, che veniva da Treviglio in provincia di Bergamo, credeva nei valori semplici quanto nobili dell'esistenza, e lui stesso impersonificava gentilezza e onestà morale, tanto che persino gli avversari lo amavano.



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domenica, settembre 03, 2006

'Figli delle Stelle', di Ivan Carozzi

Un divertente, lucido, appassionato reportage narrativo in occasione di una convention in Svizzera della setta dei Raeliani.




Cicorivolta edizioni
Collana 'i quaderni di Cico'
Autore: Ivan Carozzi
ISBN 978-88-95106-01-4
pp. 156 - euro 8,00 


Eccone un lungo stralcio: 


... Mi siedo, scelgo un'impostazione fra le otto disponibili dello schienale regolabile della mia poltrona, lascio che la nuca atterri delicatamente sul cuscino a rulli. Mi tolgo le scarpe, appoggio i piedi sull'apposita pediera e la manovro per mezzo del telecomando che tengo a portata di mano sul bracciolo. Rimango così, chiudo gli occhi, tutto è immobile, mi metto in ascolto di quel sofisticato formicolio che sembra poter cantare una selezione di mille ninna nanne diverse al mio cuoio capelluto. Non posso dire di non sentirmi estremamente comodo e rilassato... La città e la notte, come polvere, rotolano via oltre la finestra e la strada. Riapro gli occhi e contemplo il soffitto della stanza, mi sforzo d'immaginarlo come se fosse la concavità infinita della volta celeste. Punto lo sguardo in profondità, lo lascio vagare, zoomo. Il cielo è quello schermo che non cessa di allontanarsi. Mi metto a frugare fra le stelle, i pianeti, le galassie che si allontanano, gli indistinti ammassi gassosi, le tempeste di meteoriti, le code lattescenti delle comete, le pulsar che bruciano in fondo a tutta quella nuda immensità color del carbone. Adesso, per il puro piacere di giocare, provo a tornare indietro nel tempo, ad attraversare come un treno nella notte i miei anni '90, i miei anni '80 (dal finestrino dello scompartimento, in una fuggevole visione periferica, i momenti salienti della mia storia privata si mescolano ad immagini di Bettino Craxi, della prima Repubblica, della vittoria della nazionale ai campionati mondiali di calcio, di Pannella che fuma scoppiettante marijuana, e vecchie, impolverate canzoni di San Remo che permeano tutto questo sottocutaneo riaffiorare della memoria) e poi immagino di arrestarmi bruscamente, io e il treno, con un fischio e un colpo di freni, nei pressi degli anni '70. Qui dove mi trovo adesso cerco di non badare troppo al caso Moro, alle molotov e alle P38, cerco di dimenticare i teleromanzi con Ugo Pagliai protagonista, e penso soltanto che l'anno in cui nacque la storia in cui mi sto per addentrare fu lo stesso in cui venne pubblicato un disco di Lou Reed le cui due facciate erano interamente costruite su di una sorta di arcano ed elettrico rumore di fondo. Adesso mi sposto fino alla notte del 7 ottobre 1975 e ciò che vedo è un uomo che non riesce a prendere sonno. Claude Vorilhon, ex cantante, ex giornalista sportivo, ex pilota automobilistico, si trova nella grande casa di campagna in cui si è appena trasferito, nella regione medievale del Perigòrd, in Francia. Sdraiato sulla sua poltrona, le gambe coperte da un plaid a scacchi, sente (che cosa significa 'sente'? Forse significa che sente un'immagine formarsi all'interno della sua scatola cranica, come se qualcuno o qualcosa ce la stesse proiettando? Oppure è una specie di suono che sente, una frequenza remota, la stessa frequenza captata da Lou Reed e che ispirò il suo 'Metal Machine Music') che qualcosa o qualcuno sta per prendere la sua mano e portarlo molto lontano, dove nessun uomo, nella storia degli umani, è mai stato. Claude s'infila un giubbotto, con movimento automatico, braccia e gambe azionate da un impulso in arrivo da un non meglio precisabile comando a distanza, e s'incammina nella campagna screziata dell'oro e del rosso carminio di un autunno già molto inoltrato. Con passo marziale, alimentato da un'energia nuova, diversa, che sente (tutto, in quella notte, prima del fatidico evento, è completamente avvolto e permeato dalla parola 'sentire' e forse anche dal verbo 'premonire') di non aver mai posseduto, che nessun essere umano ha mai posseduto, si fa largo nel sentiero, fra ampie foglie marce che cadono sotto il peso di piccole gocce d'acqua, e raggiunge una radura che si apre improvvisa nel bosco, come uno squarcio. Claude solleva lo sguardo in alto, il collo e la testa che emergono dal bavero rialzato e si affacciano nell'aria frizzante e metallica, e vede un prisma di luce che discende da un oggetto che sta come appeso ad un filo, nel cielo stellato. Le sue scarpe si stanno bagnando, l'acqua delle pozzanghere è penetrata attraverso le crepe sottili della suola, ma ad un certo punto sente che i suoi piedi infreddoliti stanno registrando una piacevole variazione della temperatura. Il fascio di luce, infatti, si è spostato direzionalmente fino alla zolla di terra occupata dalle scarpe da ginnastica di Claude, che istintivamente si è portato una mano di fronte agli occhi creando sulla metà superiore del volto una perfetta ombra cinematografica. Due opposte colonne di vapore si stanno sollevando dalla punta delle sue scarpe e risalgono attraverso la luce bianca. Ecco, adesso può vederlo, è un disco volante quello, ed è l'inizio di tutto, la prima tacca, il momento fondativo. Dopo essere salito a bordo, Claude vola oltre gli striati confini della galassia, posa il piede sul civilissimo pianeta degli Elohim, dove si divertirà molto (si accoppierà per una notte intera con sei robot biologici, durante un banchetto converserà amabilmente con Gesù, Budda, Maometto) e dove soprattutto gli verrà svelato il segreto scientifico che sta all'origine della vita. L'uomo, lo informano gli alieni, è un prodotto di laboratorio, il frutto di un esperimento genetico avvenuto migliaia di anni fa e di cui gli Elohim sarebbero stati i benevoli artefici: la specie umana sarebbe stata figliata dal DNA Elohim. L'esperimento, adesso, può essere ripetuto su vasta scala, attraverso la clonazione. 'Se vi fate tutti clonare, vivrete tutti per sempre: vivere per sempre, l'eternità è così vicina...', gli dicono in coro gli alieni, che hanno volti aggraziati e sono alti come bambini. Quando in seguito Claude torna sulla terra (dove la sua assenza non è durata che una manciata di minuti, come nelle storie della fantascienza più rigorosa), la sua vita, ovviamente, non potrà più essere la stessa. Adesso è un profeta e il compito dei profeti è fondare religioni, indicare col braccio levato nuove terre promesse e sapervi condurre tutti coloro che vorranno dargli credito. Così Vorilhon, che presto cambierà nome in Rael, su quanto appreso durante il suo viaggio costruisce un corpo dottrinale leggerissimo, superlight, piumato, intorno al quale cominceranno, nel tempo, a stringersi migliaia di fedeli...



Ivan Carozzi © 2006

sabato, settembre 02, 2006

zerovirgolaniente è per salvare Il Manifesto

Il Manifesto

Qualche anno fa, la taz ("Tageszeitung") di Berlino, quotidiano libero e indipendente, rischiò di dover chiudere. Fu salvato da una campagna di sottoscrizioni che ancora continua e che gli procura l'ossigeno necessario per sopravvivere nella selva "globalizzata" dell'editoria mitteleuropea.

Un miracolo simile potrebbe accadere anche nel nostro Paese.

peter patti di "zerovirgolaniente" è convinto che l'eventuale perdita di una voce libera quale quella garantita ormai da decenni da Il Manifesto rappresenterebbe, per il panorama della stampa italiana, un vulnus irrecuperabile.

Invito tutti coloro che mi seguono a partecipare a un'operazione di salvataggio che è prima di tutto salvataggio della libertà di espressione senza vincoli di padrone.

Le sottoscrizioni possono essere fatte:



    Telefonicamente con carta di credito


    Con versamento su c/c postale


    Con versamento sul c/c bancario di Banca Etica



Per tutte le altre informazioni e per partecipare al dibattito in corso sul futuro de Il Manifesto visitate il sito www.ilmanifesto.it.

venerdì, agosto 18, 2006

Hawking e' pessimista


"Non lo so": ecco la risposta finale di Stephen Hawking alla domanda sulla capacita' di sopravvivenza dell'umanita'.
Circa un mese fa, il famoso fisico ha proposto un'interessante questione alla comunita' internettiana di "Yahoo": "Come potra' sopravvivere l'uomo nei prossimi cento anni?"
25.000 idee sono giunte da ogni parte del mondo (per alcuni basterebbe "mangiare piu' frutta e verdura"; per altri la soluzione e' piu' drastica: "Le risorse della Terra si stanno esaurendo. Sara' meglio trasferirci su un altro pianeta"), finche' lo stesso fisico non ha fatto risentire la sua voce: "Io non lo so" ha ammesso. Hawking ha pure spiegato il motivo di tanta perplessita': "Ogni nostro progresso tecnologico porta con se' il rischio di nuovi errori di portata catastrofica".
Hawking crede nella necessita' di una fuga verso altri pianeti, anche se secondo lui cio' potra' avvenire solo in un futuro lontano.
Il pianeta Terra non sta bene; perche' si riprenda, occorrerebbe che la razza umana sparisse dalla sua superficie. O che cambiasse completamente modus vivendi. Ma e' piu' probabile che essa venga decimata da un virus, o - eventualita' altrettanto probabile - dalla caduta di una cometa...

"Speriamo di non finire come il nostro pianeta fratello Venere, con una temperatura di 250 gradi e piogge di acido solforico". Hawking sostiene che "il fatto che gli alieni non si siano mai fatti vedere sulla Terra puo' avere una sola spiegazione: ogni civilta', superato un certo livello di evoluzione, perde il suo equilibrio e collassa". La soluzione proposta dall'astrofisico e' questa: "A lungo termine l'umanita' sara' salva solo se colonizzera' lo spazio, verso altre stelle". Nel frattempo, "speriamo che l'ingegneria genetica ci renda saggi e meno aggressivi".

Una delle risposte giunte ad Hawking dagli amici di Internet recita cosi': "La nostra specie sopravvivera' adattandosi. Gli umani sono pieni di risorse e usano il cervello per escogitare soluzioni ai loro problemi. La sua storia personale, caro dottore, mostra come la forza di volonta' possa vincere le avversita'".

Hawking soffre dalla nascita di SLA (sclerosi amiotrofica laterale), nota anche come "malattia motoria neuronale" o - soprattutto negli USA - "morbo di Lou Gehrig" (dal nome del giocatore di baseball che ne e' morto).



***

Stephen Hawking

Stephen Hawking, uno dei piu' importanti scienziati nel campo della fisica teorica, ha fatto molto per la comprensione dell'universo. Il suo ruolo oggi e' equiparabile a quello gia' ricoperto da Einstein. E' stato lui a predire i buchi neri, apportando cosi' correzioni alla teoria della relativita'.
Le teorie di Hawking sono influenzate dalla tecnologia genetica, dalla creazione di un moderno "uomo-nacchina" e dai pericoli globali (guerre, energia atomica, virus, catastrofi climatiche). Il suo sguardo al futuro dell'umanita' e' decisamente pessimista, ma apre anche prospettive coraggiose, infondendo cosi' nuove speranze.

lunedì, agosto 14, 2006

Romanzo online

Giona come quando.


Forse il nome: questo nome che suscita un'eco biblica, appioppatogli in seguito a una distorsione etimologica allo sportello dell'anagrafe (i suoi genitori avrebbero voluto chiamarlo Gionni) o all'udito precario di un impiegato stressato. Un nome che lui si porta scritto in faccia e per cui viene guardato con sospetto.

Inquisiscono: «Da dove vieni? Provenienza? Nazionalità? Insomma, a quale popolo appartieni?»

Certo, un nome si può sempre cambiare, ma Giona non ha mai voluto farlo. Sa che è perfettamente inutile, con "questo mare gonfio e l'equipaggio pure". Avrebbe potuto confezionarsi una maschera su misura, come tanti altri prima e dopo di lui; ma a che serve? Lo riconoscerebbero comunque: «Giona. Sei tu, vero?»

E’ il suo destino. Quando c’è da buttare uno in mare, l’indice si punta sempre sul mio amico Giona.

Questo nome! Obbligatoriamente, un richiamo freudiano a latere. Madre Hysteria, Sorella Mysteria. L'equazione vagina = pancia di balena è di un'ovvietà tale da strappare un "A-ah!" persino ai profani della psicanalisi.

«Professione? Paese di origine?...»

Uff! E’ lunga, la strada per Tarsis.




[ Inizio di Giona. Un romanzo della Prima Repubblica. Interamente online. ]

giovedì, agosto 03, 2006

Il progetto A119

GLI STATI UNITI VOLEVANO FAR ESPLODERE UN ORDIGNO NUCLEARE SULLA LUNA

Correva l'anno 1958 quando il fisico Leonard Reiffel fu avvicinato da alcuni ufficiali dell'Air Force degli Stati Uniti d'America che lo invitarono a collaborare a un nuovo progetto. Il progetto, rigidamente "top secret", recava la sigla A119 ed era  pomposamente denominato A Study of Lunar Research Flights.
Il compito di Reiffel era di investigare sulle possibili conseguenze di una detonazione nucleare sulla luna, e soprattutto di calcolare il tasso di visibilità del fungo atomico da qualsiasi punto del nostro pianeta.


"Si sarebbe trattato di una sorta di esercizio di public relation in grande stile", ha affermato recentemente l'ormai 75enne Reiffel. "L'Air Force desiderava un fungo atomico immenso, tanto da poter essere visto dalla Terra a occhio nudo. E questo perché, nella corsa alla conquista dello spazio, gli Stati Uniti stavano perdendo terreno nei confronti dell'U.R.S.S."



Lo storico inglese David Lowry ha commentato la notizia in questo modo: "E' semplicemente pazzesco pensare che il primo biglietto di visita degli esseri umani a un altro corpo celeste sarebbe stato... una bomba atomica! Se il progetto fosse stato realizzato, noi non avremmo avuto mai la romantica immagine di Neil Armstrong e del suo 'passo da gigante per l'umanità' (one giant step for mankind)."


Lo scopo di quel piano era di dimostrare all'Unione Sovietica e al mondo intero quanto fossero potenti gli U.S.A.


Lowry ipotizza che il progetto A119 possa avere una certa rivelanza perfino oggi, dato che gli Stati Uniti sembrano più che mai determinati a impiantare un sistema di difesa missilistica attorno all'orbita terrestre. "Gli U.S.A. hanno sempre covato il desiderio di militarizzare lo spazio e alcune delle idee attualmente in corso di realizzazione non appaiono meno curiose e meno stravaganti di quella - risalente agli anni Cinquanta - con cui si proponevano di bombardare la luna."


Il progetto A119 fu sviluppato dalla Armour Research Foundation di Chicago (che oggi si chiama Illinois Institute of Technology Research).


Reiffel racconta: "Era previsto di far esplodere l'ordigno sulla faccia nascosta del nostro satellite, sulla dark side dunque. Il fungo che ne sarebbe risultato, affiorando oltre l'orlo lunare, sarebbe stato illuminato in pieno dal sole, e quaggiù chiunque  avrebbe potuto vederlo a occhio nudo."


La bomba in questione avrebbe dovuto avere la stessa potenza di quella sganciata su Hiroshima.


"Io feci osservare che l'esplosione avrebbe rovinato l'ambiente lunare. Ma l'Air Force non pensava certo in termini ecologici! A loro interessava soprattutto che i 'nemici' potessero vedere l'esplosione e rimanerne impressionati."


Secondo Reiffel, per la Terra non ci sarebbero state conseguenze dirette, ma di certo la luna sarebbe risultata "sfigurata" per l'eternità. 



Sulla fattibilità del piano lo scienziato non nutre alcun dubbio. Già a quei tempi la tecnica missilistica era abbastanza sviluppata, tanto che si sarebbe potuto centrare un bersaglio pur così distante "con uno scarto massimo di due miglia o poco più".


Ovviamente, se il progetto fosse stato reso pubblico si sarebbero sollevate proteste in tutto il mondo; per tacere delle polemiche che ci sarebbero state dopo la sua messa in atto. Ma agli Stati Uniti importava solo di dimostrare la loro superiorità militare.


Gli archivi del governo americano sono tuttora strapieni di documenti che risalgono agli anni della Guerra Fredda, ed è lecito pensare che molti di quei dossier rimarranno sigillati e intedetti al pubblico per chissà quanto tempo ancora. Il progetto A119 è venuto alla luce soltanto perché lo scrittore Keay Davidson vi ha accennato in una sua biografia dello scienziato e astronomo Carl Sagan.


Sagan, che è morto nel 1996, aveva acquisito grande fama scrivendo articoli e libri che rendevano accessibili i grandi temi della scienza anche all'uomo della strada. Egli si dedicò inoltre allo studio delle possibilità di presenze biologiche su altri pianeti. All'Armour Foundation di Chicago fu contattato da Reiffel, il quale lo spinse a improntare un modello matematico sull'espandersi di una nuvola di polvere nell'orbita lunare. Questo modello era naturalmente la chiave per stabilire il grado di visibilità di una simile nuvola dalla Terra. 


Sagan credeva (come molti scienziati di allora) che la superficie lunare pullulasse di microorganismi, e, preoccupato, fece  osservare che un'esplosione atomica avrebbe certamente distrutto quelle forme di vita. Tuttavia, secondo la testimonianza resa da Reiffel, egli fornì ugualmente i calcoli richiestigli. 


Quasi trent'anni più tardi - nel 1987 -, i risultati di quegli studi furono distrutti dai dirigenti della fondazione di Chicago. Ma non è da escludere che alcune copie siano tuttora conservate nelle segrete blindate dell'Air Force. 


Leonard Reiffel dice di ignorare come mai il piano fosse stato poi accantonato. Comunque, mostra di esserne più che lieto: "E' terribile pensare che una pazzia del genere fosse stata ideata soltanto per impressionare l'opinione pubblica."


Interrogato sull'esistenza del progetto A119, un portavoce del Pentagon non ha voluto dare nessuna conferma, ma non ha neppure smentito.

lunedì, luglio 31, 2006

LA CITTA' DEI BAMBINI, di Antonio Lombardi

Poveri bambini della Città dei Bambini
scortati da babbi coi telefonini
lungo le strade di ferro stropicciate dal vento
incolonnati dentro le stescion - direzione:
"Imperdibile Evento!"

Poveri bambini della Città dei Bambini
prenotati da mesi per non mancare
al nuovo spazio ludico dedicato

a voi,
bimbi,
strategico segmento di mercato.

Poveri bambini della Città dei Bambini
prelevati da qualche tipo di full-time
settimanale
zeppo di telesolitudini, catering scolastici e
corsi d'inglese preserali.

Ma finalmente oggi potete illuminare i vostri pallidi
occhi
nel moderno, efficientissimo, paese
dei balocchi,
proprio qua a due passi dal mare
a due minuti dal nuovo centro direzionale

e l'ennesimo Mangiafuoco di questo colorato teatrino
veste armani ed è
senza barba
non ha fauci, ma un master in business tecnology
ad Harvard

Poveri bambini della Città dei Bambini
senza più città, senza più bambini
asserragliati nei palazzi come dei cecchini

e pensare che un tempo, neanche troppo in là,
eravate il vero spirito della città

andate a rovistare tra le memorie dei vostri nonni
(ma basterebbero quelle di qualche papà)

per recuperare la perduta solarità
dei cortili tra le case
dell'azzurro dei cuori
che volava alto

oltre le cimase

per vedere che
dove era un garrire
di giochi e di opportunità
oggi ci sono auto in doppia fila

e un manifesto
che pubblicizza
la vostra nuova Città.

Antonio Lombardi





Antonio Lombardi vive a Genova, dove è nato nel 1963. Altre info sull'autore qui.

domenica, luglio 30, 2006

Dal Libro 'Vendetta'

Ecco una citazione dal romanzo di Pierluigi Curcio Vendetta:

Vedo i fuochi alzarsi dalle colline, il nemico è stanco e la caccia è durata a lungo. Oggi daranno battaglia. Non c’è gloria, non c’è onore: il premio è la vita. Gli ordini vengono urlati per il campo, la cavalleria è nascosta tra gli alberi e gli uomini serrano le fila, attendono il nemico è arrivato al limite della radura, ci osserva in silenzio prima uno, poi due e di fila tutti gli altri corrono incontro al proprio destino: il massacro ha inizio.
Ci chiamano distruttori, ma portiamo con noi conoscenza e strade e le aquile delle legioni. Oggi vincitori.
I secoli sono passati, la polvere ha coperto le nostre strade e la morte ha sconfitto le nostre usanze erano barbari, ma oggi si fanno chiamare innovatori e con loro è il progresso, il cambiamento. Oggi vincitori.
I popoli si susseguono ai popoli, ma la terra continua ugualmente a girare: il sole tramonta ogni giorno per risorgere ancora credete che a loro importi?


E questo è l'acuto commento dell'amico 'Blaxx':

"La considerazione è disarmante, nella sua semplicità, e se avessimo il coraggio di trasporla nella personale esperienza quotidiana forse avrebbe il potere di aprirci gli occhi sulla nostra mancanza di coscienza, sulla vulterabilità del nostro sistema morale e all'imbarazzante semplicità con cui può essere manipolato.
Ma è certamente più facile rigare la macchina del vicino di casa o, accovacciati al riparo di una siepe, attenderne il rientro per prenderlo a sprangate..."

sabato, luglio 29, 2006

JACK HIRSCHMAN: 'Dobbiamo'

Jack Hirschman

DOBBIAMO (WE MUST)


Trovai lui sotto un tetto di cartone lurido,
trovai lei in posizione fetale dentro un portone,
e Terrell in piedi sotto un albero
al Centro Civico, aggrappato con forza
alla concretezza del suo carrello della spesa.

Ora, il fatto è che erano tutti stecchiti.
Nessun respiro sotto quel cartone,
nulla nel ventre desolato del portone,
e in quanto a Terrell in piedi sotto l'albero,
avrebbe potuto benissimo essere una pietra
che ricorda la crudeltà di un sistema
che tutti i senzatetto conoscono
quando ogni giorno vedono la bandiera che dice:
"Non c'è posto in albergo per voi idioti".

Così mi unii all'Esercito dei Poveri,
iniziando le esercitazioni per lottare contro...

La bandiera della proprietà-über-alles
dietro a quella Stelle-e-Strisce tanto venerata
noi la facciamo a pezzi, per rendere
l'umanità di nuovo umana, e giusta.

Non è questione di scegliere.
Dobbiamo.

Hanno rafforzato le leggi dello stato di Polizia.
Ci sono più persone scomparse in questi tempi,
hanno fatto della Bugia una priorità,
ti hanno ricoperto di calce come i tuoi graffiti
e sprso la loro merda del Crimine di qua, Crimine di là,
insultando i poveri, insultando i giovani
e tutto questo perché il Crimine è la menzogna che hanno
per evitare di fare le cose che vanno fatte,

mettere un tetto sopra ogni testa,
diritto alla sanità per tutti,

ecco perché queste proteste,
ecco perché questi espropri
e perché i nostri coraggiosi compagni
sfidano il rischio della prigione.

"Io accuso la proprietà privata di privarci di ogni cosa."
Non è questione di scegliere.
Dobbiamo.




Jack Hirschman
POB 26517
San Francisco CA 94126
USA





[Traduzione di franc'O'brain]

domenica, luglio 23, 2006

L'utopia di Pepe Carvalho


Negli ultimi decenni, pochi scrittori si sono meritati il successo come Manuel Vázquez Montalbán. Ancor prima che autore di romanzi polizieschi, Montalbán fu giornalista e saggista sempre impegnato, sempre in prima linea: tantoché sotto il regime franchista doveva far uso di diversi pseudonimi. Agli inizi della carriera, appena trentenne, finì in carcere per le sue audaci critiche e per la sua adesione al più o meno clandestino movimento di resistenza: un'esperienza, questa, che lo segnò profondamente.
Finanche dopo la caduta del regime non smise mai la lotta, manifestando coerentemente le proprie idee.
L'utopia di Pepe Carvalho ci mostra, attraverso interviste e alcuni racconti (questi ultimi sono in realtà stralci delle colonne che Montalbán scriveva per la rivista Triunfo), uno strenuo difensore dell'utopia.


Alcuni articoli di Montalbán pubblicati in Italia

Dietro la scorza di scriba piccolo, calvo, grasso e occhialuto, scopriamo un intelligente e acuto osservatore del suo tempo; e anche del nostro, giacché lui è stato uno dei primi a criticare fin dall'inizio il fenomeno della cosiddetta "globalizzazione". E scopriamo che i romanzi della serie dell'investigatore Carvalho non sono che la cronaca "translata" della storia spagnola dagli anni Sessanta circa fino all'avvento del nuovo secolo, cronaca conclusa con il fantasmagorico Millennio.
Altre chicche di questo volume della casa editrice datanews comprendono alcuni saporiti accenni alla passione di Montalbán per la culinaria (inclusa quella di matrice italiana) e interessanti notizie sui suoi lavori letterari dove non fa la sua comparsa il celebre investigatore.


Manuel Vázquez Montalbán
L'utopia di Pepe Carvalho
edizioni datanews, collana "Ahlambra"


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datanews
datanews è una casa editrice indipendente nata a Roma nel 1985. Ha un catalogo vasto e interessante, che abbraccia temi di enorme interesse: dalle monografie di scrittori quali Gabriel Garcia Marquéz, José Saramago, Jorge Louis Borges (presentati attraverso interviste e scritti dei medesimi)... a saggi su precisi aspetti della cultura popolare (Country Music... La cucina dei Negri d'America... Il Che... Telefascismo...).
Con "Ahlambra", datanews ha recentemente inaugurato una nuova collana dedicata ai grandi autori contemporanei della letteratura e del pensiero, mentre un'altra collana chiamata "i rubini" raggruppa, in formato pocket, i bestseller vecchi e nuovi della casa editrice.

venerdì, luglio 21, 2006

Henry Miller

Henry Val Miller: una delle persone più gentili e più pronte ad aiutare, come hanno testimoniato i suoi amici Lawrence Durrell e Alfred Perlés. Di contro, la sua prosa è tumultuosa, barocca, contiene elementi demoniaci e "faustiani".

"Ogni parola che metto giù ora dev'essere una freccia che va dritta al bersaglio. Una freccia avvelenata. Voglio ammazzare libri, scrittori, editori, lettori. Scrivere per il pubblico, per me non significa niente. Quel che mi piacerebbe, sarebbe scrivere per i pazzi... o per gli angeli."

Quella dei critici, dei "generali della letteratura", è una "trincea" che "deve essere espugnata". "Se è con la mannaia che dobbiamo lottare, usiamola a tutta forza." (Nexus)
Miller ha letto Santa Teresa e Bergson, Elie Faure e Dostoevskij, Rabelais e (horribile dictu!) Voltaire. "La mia fame e la mia curiosità mi spingono in tutte le direzioni contemporaneamente." (Plexus)

Durante l'atto creativo, Henry deve sempre ricordare a se stesso di essere disciplinato. Ecco alcune delle sue regole autoimposte:

- Lavora a una sola cosa per volta, fino a portarla completamente a termine.
- Non inquietarti...
- Pensa unicamente al libro che 'stai' scrivendo.
- Prima di tutto e sempre, scrivi. Pittura, musica, amici, cinema, tutto questo viene dopo.



Più che erotico e pornografico, Henry Val Miller è sensuale in maniera rabelaisiana. I suoi romanzi sono rivoluzionari... non nel senso politico del termine, ovviamente (quella auspicata da Miller è una "rivoluzione dell'anima"), ma in quanto ci mostrano la via per vivere come uomini felici.


Nel suo celebre Diario, Anais Nin scrive dell'autore di Tropico del Cancro: "Mi è piaciuto subito, non appena l'ho visto scendere dalla macchina e mi è venuto incontro sulla porta dove lo stavo aspettando. La sua scrittura è ardita, virile, animale, magnifica. È un uomo la cui vita inebria, pensai. È come me."


Tra i suoi amici c'era anche l'attrice tedesca Hildegard Knef. ("Neff", pronunciavano gli americani.) Una volta, sentendosi osservato da lei, Henry le disse:
-Beh? Che guardi?
-Sei così bello! - esclamò la Knef, con voce rapita.
E lo scrittore: - Ah, chiudi la bocca! Mi rendi molto triste...


Fino al 1961, Sexus (prima edizione francese: 1949, distribuita privatamente), Tropico del Cancro e tutte le altre sue opere erano vietate negli Stati Uniti. In seguito a una celebre serie di processi, il divieto fu sospeso, anche se l'organizzazione Citizens for Decent Literature bollò i libri di Henry Miller come "osceni".


Ha raccontato Inge Feltrinelli: "Tra i più capricciosi [autori] che incontrai, mi viene subito in mente Henry Miller: pretendeva un tavolo da ping pong in ogni casa che l'ospitasse qui in Italia..."




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Dal saggio online Henry Miller [1891-1980]- La vita ha sempre l'ultima parola

mercoledì, luglio 05, 2006

Fatene buon uso

Bild & Der Spiegel

Bild Zeitung:

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Der Spiegel:

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